24 novembre, 2005

 

24. Newsletter del 29 aprile 2005

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Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA DEL SALOTTO VOLTAIRE
QUINDICINALE LIBERALE DI ATTUALITÀ, POLITICA, SCIENZA, CULTURA E COSTUME
Lettera n.24 - 29 aprile 2005
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Sommario:

SALUTISMO E LIBERTA’. Storace e l’olio di ricino
PAPA RATZINGER. Se è illiberale…è meglio
DOPO BERLUSCONI. Liberali: nuova aggregazione
UNA SCONFITTA VOLUTA. Silvio e i suoi errori
VOTO E MINORANZE. E se votassimo per interesse?
ASTENSIONISMO. Quei laici sull’Aventino
OTTO PER MILLE. Diamolo a ebrei e valdesi
TOTALITARISMI. Lenin salvato dalle intenzioni
EURABIA SE LA FA SOTTO. Ha ragione la Fallaci
STORIA GIA’ VISTA. Al solito: l’ebreo deve sloggiare
AEREO IN FIAMME. "E l’italiano arrivò per primo…"
DEMOCRAZIA IN CRISI. Tedeschi stanchi della libertà
ISLAMISMO VIOLENTO. Quanti sono i fanatici in Italia
LINCEI E RICERCA. Sì all’uso delle cellule congelate
IL LIBERALE AZZONE. Solo vantaggi dalla ricerca
REFERENDUM E LIBERTA’. Hack: legge medievale
CARABINIERI A GENOVA. Congedati se si difendono
OFFRE IL ROTARY. Giovani liberali a Lisbona
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SALUTISMO DI STATO E LIBERTA’
Storace e l’olio di ricino
"Fior de storace, a me la pupa tua molto me piace, perché ci ha l’occhio vivo come brace, fior de storace". Ecco uno stornello romanesco politicamente aggiornato ma botanicamente corretto. Nelle osterie della Roma "rugantina" (dal lat. rugare), cioè spaccona e prepotente, con una strofa così sarebbe finita in rissa, forse a coltellate. E perché, con le battute del simpatico Storace, non accade lo stesso? "Dà l’impressione d’uno che è sempre sul punto di dire: mo’ je meno. Ma poi – ha detto il romano machiavellico Andreotti, dopo averlo votato – ho dovuto ricredermi". Che vuol dire, senatore, che lo ha picchiato lei?
Un nome, un destino. Se così fosse, l’aromatico fiore bianco di storace (Styrax officinalis, arbusto orientale presente come relitto vegetale a Palombara e Marcellina, perché i Romani lo coltivavano per farne costosi unguenti, forse curativi) dovrebbe quotidianamente essere sparso a piene mani dall’omaccione placcatore di rugby politico e attaccante in prima battuta (pesante), oggi curiosamente ministro della Salute (la sua). Ce lo vedete voi? Neanche fosse un leggiadro hawaiano. "Il più bello del Parlamento", gli ha reso pan per focaccia la Bindi dopo l’ennesima battuta storaciana sulla di lei mancata venustà. Certo, viste le "posizioni preferite" (clericali) dei due sulla fecondazione, un "bianco fiore" ci sta bene per il loro consumabilissimo matrimonio d’odio e d’amore ("Ah ‘o, a me la Bindi m’arrapa", cioè mi eccita, disse una volta il Becero), ma stride un poco col fascismo ateo e mangia-preti della sua giovinezza. Peccato che lo storace non fosse un fiore proprio "sociale": serviva a profumare e massaggiare le ricche matrone romane, altro che puzzolenti bicipiti mussoliniani.
D’accordo, "quando c’è la salute c’è tutto" (una delle sue migliori), come ha detto all’indomani della nomina a ministro, ma, per rispondergli a tono, non è che ora con la scusa della Sanità, prescriverà a tutti l’olio di ricino? Ma sì, non faccia lo gnorri, Ricini oleum officinale F.U., mica storie, regolarmente registrato dalla farmacopea e pagato anche dalla sua ex Regione. Certo, Storace al ministero della Salute fa un po’ impressione ai deboli di cuore, che subito corrono a prendersi le gocce di cardiotonico. Non se le prenda lui, per la cattiva stampa. Come Previti è forse ingiustamente rovinato dalla faccia. Lui ci ha aggiunto solo le battute e i ricordi dei bollettini della Questura sulle "eroiche" azioni dei ragazzacci della sede missina di via Sommacampagna. Dove, semmai, le ferite Storace le procurava, non le curava. Come quelle che riceveva, per esempio, dagli altrettali ragazzacci di Lotta Continua, che ora fanno i giornalisti snob e i maître à penser, soprattutto per i giornali di destra. E lui, di sicuro, è più socialista di loro.
Ora che impugna la siringa dalla parte dello stantuffo fa il "disobbediente", l’alternativo, con dichiarazioni anarco-libertarie sul fumo. Ma chi è il suo gost writer, il nostro amato Martino? Basta con la criminalizzazione dei tabagisti. No ai ghetti per i fumatori. Oddio, sembra Pannella nel famoso spot della "Pubblicità Regresso" in favore delle Gitanes "doppio catrame". Ma poi si corregge. Voleva dire: "almeno allarghiamole un po’ le loro camere a gas". E di queste forse ha competenza, per sentito dire naturalmente. E’ un moderato, meno male: la Casa delle Libertà a qualcosa gli è servita. Anche se lui la frequenta solo perché è dotata d’uno sgabuzzino non areato (la "Sala Sirchia", irride) dove può sfumacchiare di nascosto mandando a quel paese il pio uomo salutista, detto "il contapassi", politicamente appena defunto nel cordoglio inconsolabile di tutti noi non-fumatori.
"La repubblica dei Medici" (e non siamo a Firenze), scrive sulla Stampa la Spinelli, dimentica della logica del padre Altiero. Perché, lei non ci va dal medico? O vuole andarci solo lei? E lo vuole non della mutua ma muto, per giunta. Lo Stato – le dà ragione Storace – non darà più "la linea" sul come vivere bene prevenendo un po’ tutto, dall’obesità, al mal di cuore, al cancro. Basta col "salutismo di Stato" imposto illuministicamente dall’alto. Ahi, ahi, ahi, mi meraviglio, caro Storace, e non perché ormai la prevenzione è la base della politica sanitaria in tutto il mondo libero (meno malattie, meno costi ospedalieri, più libertà per i tanti non-malati). Ma lo sa che anche il suo Mussolini aveva a cuore la salute degli Italiani tanto da definirsi "naturista"? "Sono io, Benito Mussolini, che ho curato la dieta morale e fisica dell'Italia e ancora oggi sorveglio attentamente che nulla di dannoso possa arrivare al suo stomaco e provocare malattie e disturbi", (1927). In Germania negli anni Trenta si diffondono le Reformhauser, i centri di alimentazione naturale e di "vita sana". Sùbito il Capo del Governo si dice "profondamente convinto che il nostro modo di mangiare, di vestire, di lavorare e di dormire, tutto il complesso delle nostre abitudini quotidiane, deve essere riformato" (1932). Perché non rivolgersi ai medici? "Può sembrare incredibile, ma da quando ho invitato i medici italiani a sollecitare il consumo dell'uva, il consumo dell'uva da tavola si è quintuplicato. Se domani i medici vantassero le virtù del riso…" (1932). E vennero i manifesti: "Hai tu mangiato il tuo riso? Aiuta la bonifica delle zone paludose, aiuta i produttori, le mondine, la Patria, te stesso: mangia più riso".
Libertà di ammalarsi, di essere obesi, di beccarsi più tumori? Chiamiamola, se vuole, "libertà", caro Storace. In realtà lo sa benissimo che è la schiavitù suprema. Niente è possibile, tutto è vietato per il malato o il moribondo. Certo, un liberale deve garantire anche la più eccentrica delle libertà, quella di chi la libertà, cioè la vita, non l’ama e vuole a tutti i costi ammalarsi o morire. E infatti noi liberali, magari astemi e non fumatori, siamo contro il proibizionismo sull’alcol e le droghe, e siamo anche per l’eutanasia (lei no, però). E, se è ancora vigente, vogliamo abrogare l’incredibile "punizione del suicidio" (tentato, ovviamente). Bisogna sempre dare alla gente la possibilità di scegliere.
Però, caro Storace, adesso la sua uscita mette liberali contro liberali. E sì, perché nella società liberale oltre ai cittadini esiste anche uno Stato (le piace che uso la maiuscola?), il più piccolo possibile, uno Stato-minimo. Che cerca di aumentare la "somma di libertà" del Paese, e che perciò suggerisce, il meno coattivamente possibile, i modi più razionali e scientifici (quindi non la sua "cura Di Bella") per raggiungere la prima delle libertà: quella dalla ignoranza. Solo così, il cittadino può tentare di raggiungere la libertà dalla malattia, dalla infelicità. In fondo uno Stato liberale non insegue la ricchezza ma la felicità dei cittadini: si legga la Costituzione americana. E visto che proprio noi liberali ci vantiamo di essere i maggiori difensori della scienza e a differenza della Chiesa propagandiamo la felicità "su questa terra", "qui e subito", vorrà, caro Storace, far dire dai suoi scienziati ai cittadini, almeno, qual è lo stato dell’arte su alimentazione, medicina o ambiente? Certo, uno Stato liberale può solo consigliare, e neanche imbeccare i medici come faceva il suo Mussolini. Ma deve informare. Perché conoscere è la prima delle libertà.
Poi i cittadini sceglieranno di testa loro. Preferiranno, magari, fare colazione con cubetti di lardo di Colonnata e pane bianco raffinato (meglio quello integrale, ma è "troppo salutista"), trenette al pesto (metil-eugenolo, più cancerogeno del benzene), bistecca alla brace sul barbecue (benzopirene pari a 400 sigarette), grappa Tokai conservata in botti di rovere, e un buon sigaro toscano invecchiato. Per dissetarsi (lontano dai pasti, sia chiaro: siamo dei buongustai), visto che noi liberali difendiamo le multinazionali, come gesto politico consigliamo perfino una bottiglia grande di Coca Cola (che contiene quasi un bicchiere di zucchero, mica altro di dannoso). Ma sì, che male c’è (per gli altri, gli spettatori, voglio dire)? Però lei, caro Storace, ci deve consentire di avvertirli prima ‘sti poveri cittadini. Dopo, come no, saranno tutti "più liberi". Anche di morire.
(La badante russa di Cossiga)
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L’EQUIVOCO DEL "PAPA PROGRESSISTA"
Papa illiberale? E’ meglio per i laici
Papa "di destra" o papa "di sinistra"? Diceva un saggio che di senso comune ce n’è tanto in giro, ma è di buon senso che c’è carenza. Solo che la follia è nascosta sotto altre forme, per esempio la politica. Figuratevi che i comunisti si sono detti delusi dall’elezione di Benedetto XVI: avrebbero preferito un papa "attento al sociale", che portasse alla riscossa il Terzo Mondo contro il capitalismo e gli Usa, insomma meglio se comunista. Non gli basta pacifista? In altre parole, stavano cercando in Vaticano il loro futuro leader dell’Ulivo? Se lo trovino dentro casa con le elezioni primarie, piuttosto. Anche i gay hanno detto che vedevano male un papa contrario al matrimonio degli omosessuali. Ma perché non chiedere direttamente un papa gay, che male ci sarebbe? Anzi, di sicuro ce ne sono già stati, e neanche lo sappiamo. Le femministe, poi, sono "in lutto". Hanno fatto capire che papa Ratzinger è il peggiore possibile: figuratevi, "nega i diritti delle donne". Ci tengono tanto al diritto di dire messa? O, sotto sotto, vorrebbero far carriera in Vaticano? Sai che palle. In tal caso l’ideale per loro sarebbe stata una papessa Giovanna. Almeno ci sarebbe un che di intrigante. Ma, a parte le suore, le donne, di grazia, in che cosa possono essere toccate nella propria vita quotidiana da una parola di papa Ratzinger?
E noi liberali, allora, avremmo dovuto chiedere un papa "liberale-liberista-libertario-libertino-razionalista". Ma essendo razionali sappiamo che uno così non farebbe mai il papa. O sarebbe stato preferibile un papa passivo verso noi cattolici all’acqua di rose, o miscredenti, atei, scientisti? Avremmo voluto davvero un manichino in tonaca, mitria e pallio che ci dicesse sempre di sì, insomma uno strano papa anti-papa amico di Pannella e del Salon Voltaire? Uno che scrivesse sul sito Anticlericale.net e invitasse a cena Maurizio Turco, Vallocchia di No God e quel mangiapreti di Nico Valerio? Ma un papa così sarebbe una farsa, un impostore travestito da pontefice per chissà quali loschi fini, un pericoloso politico furbo e demagogo. Non lo vorremmo manco morti.
Che il Papa faccia il papa, insomma, e pure all’antica. E’ pagato per questo: svolga, e in modo credibile, il suo lavoro. Che sia giustamente reazionario e autoritario. Meglio se molto illiberale. Anzi, gli suggeriamo di reprimere anche i baci sulla bocca in pubblico. Se no, scusate, che ci sta a fare? A lui tocca vietare, a noi liberali consentire, tollerare. Noi Europei di ufficialmente "liberali, democratici e tolleranti" abbiamo già la nostra vita privata, la nostra società, i nostri Governi. Che anzi, non ci sembrano ancora davvero liberali. Che importanza può avere quello che dirà papa Ratzinger sulla nostra vita di laici e laicisti? A meno che, sotto sotto, chi oggi lo critica, non consideri naturale che governi in casa nostra. Ma chi pensa così, è lui il vero clericale mentale. Certo, qualche politicante cattolico, un Buttiglione qualsiasi, potrebbe ottusamente prenderlo alla lettera e trasformare in leggi dello Stato quelle che sono solo doverose (per un papa) petizioni di principio, com’è già accaduto con Wojtyla (vedi referendum). E’ vero, ma sarebbe colpa solo del politicante, non del papa. E gli elettori dovrebbero punirlo.
La Chiesa non è la politica, la realtà. E’ solo per deformazione professionale che giornalisti e politici cadono in questo madornale equivoco. Destra, sinistra, conservatore, progressista. La religione cattolica è un altro mondo, lontano anni-luce da noi laici e liberali, il mondo iperuranio del miracolo, dei Santi, dei Beati, delle leggende, dei simboli, dei miti, dell’impossibile, delle preghiere, d’un Dio che nessuno ha mai visto, del soprannaturale, dell’irrazionale, dei travestimenti improbabili, dei costumi dorati e dei sai di ruvida iuta, delle ricche basiliche e delle grotte degli eremiti, delle acque benedette e delle lavande dei piedi, dei canti e dei fumi d’incenso, dei digiuni e del carnevale. Come possiamo compararlo col nostro? Vi piacerebbe che i bambini chiedessero alla nonna di modernizzare e razionalizzare le favole che sta raccontando, con Cenerentola che denuncia per tentato stupro il Principe Azzurro, e la casetta di Cappuccetto Rosso dotata di telefonino, lavatrice, video-giochi, 740, preservativi e fumetti porno?
Un papa severo, quindi, non si tocca. E non ci dispiace. E non solo perché racconta favole. Nel gran teatro della Chiesa, quello è il suo ruolo, per gli spettatori che ci credono, che hanno pagato il biglietto e vogliono divertirsi o scaricarsi nello psicodramma. Credere non è obbligatorio. E se uno crede, è perché sa già che dovrà obbedire. Libera scelta. Se uno non crede, qualsiasi cosa dica il papa, la Chiesa o il Vaticano, non avrà importanza. Ma papa Ratzinger serve soprattutto a noi liberali, come ideale avversario virtuale. Perché è lineare, onesto, logico, conseguente, prevedibile, erudito, professorale. Uno che dice con semplicità e sottovoce la sua "verità teologica" ma che, come tutti i professori, è abituato alle obiezioni e agli sfondoni degli studenti. Uno che non fa l’attore come Wojtyla, che non recita, non concede troppo alla demagogia, all’opportunismo, alle folle, ai media, alla politica. Ebbene, uno così ci serve, anzi ci rafforza, ci tiene uniti, consolida la nostra identità anti-autoritaria, raffina il nostro liberalismo, modula in noi le scariche di adrenalina (senza eccessi). Se lo faremo arrabbiare, vorrà dire che avremo detto e visto giusto. Freudianamente rappresenta l’immagine paterna da superare, un papà severo ma retto, da non imitare. Avete presente l’allenatore di pugilato? Una "guida" antagonista, un riferimento come la mezzeria della strada. Insomma, il migliore degli avversari possibili. Dio non voglia non esistesse: noi liberali, laicisti, illuministi, razionalisti, atei, come faremmo?
(Barone Peppino d'Holbach)
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ASTENSIONISMO ALLE REGIONALI
Quei laici sull’Aventino…
"Vittoria", "sconfitta"? Semplicemente non c’è stata gara. Le nonne sono rimaste davanti alla tv a gustarsi i funerali del papa. Molti giovani cattolici sono partiti per Roma. In compenso, altri che prima di solito non votavano sono andati a votare. Ma, in campo liberale, molti sono gli elettori che si sono astenuti alle ultime elezioni regionali. Sono state le elezioni dell’Aventino. Di lib-astensionisti ne abbiamo scoperti di almeno tre tipi. Sappiamo di amici disamorati della Casa delle Libertà e della politica, che hanno disertato le urne per ripicca contro il neo-clericalismo ottuso del Centro-destra, contro la prospettiva d’un vero e proprio "stato Vaticaliano", contro una Repubblica Pontificia Italiana che finanzia senza controlli la Chiesa e rende difficile alla coppie in difficoltà avere figli con la fecondazione medica. Tanti, poi, tra gli intellettuali liberali quelli che non hanno votato per "terzismo" recente o di lunga data. Scontenti di "questo" Centro-destra e di "questo" Centro-sinistra, li hanno giudicati entrambi illiberali, anche se con gradazioni diverse. Altri, infine, non sono andati a votare semplicemente perché non ritenevano importante una consultazione regionale: nessuno, neanche alla tv, gli aveva mai detto che erano in gioco la legislatura o il Governo. Quindi attenzione a non commettere l’ingenuità giornalistica di considerare direttamente "politici" i risultati del 13 aprile. Non per sminuire le gravi colpe del Centro-destra, ma potrebbero esserci amare o piacevoli (a seconda dello schieramento) sorprese in futuro.
(Bottino Ricasoli, da Greve in Chianti)
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PROSPETTIVE DEL "DOPO BERLUSCONI"
Liberali: nuova aggregazione
Romolo Augustolo e la fine dell’Impero Romano. Ricordi, paralleli storici discutibili, libere associazioni di idee. La legislatura sembra avviarsi alla sua fine naturale, ed è probabile che di qui ad un anno, pur tra punzecchiature, distinguo e prese di distanza da separati in casa, non ci saranno clamorosi cambi di schieramento e colpi di scena. "Mettersi in proprio", ora o nel 2006, a bipolarizzazione vigente, non è pensabile né per l’astuto democristiano Follini, né per il furbo destro-nazionale Fini.
Ma se dovesse saltare l’attuale fittizia bipartizione dei poli, diverso sarebbe il destino dei due politici di ventura: il primo, Follini, sarebbe attratto dalla forza centripeta ad allearsi con la Margherita e i cani sciolti cattolici di destra e sinistra, e chiamerebbe questo con un po’ di facciatosta "terzo Polo". Ma sarebbe più probabile un Governo Ds-Margherita-Cdu più i cattolici di FI. I liberali se la sentirebbero di riorganizzarsi come terza gamba lib d’un triciclo cat-lib-lab? Difficile crederlo. Ammesso che sia fattibile, sarebbero sempre in minoranza.
Fini, invece, verrebbe ricacciato dalla forza centrifuga nel limbo frustrante nel quale viveva prima che Berlusconi lo riabilitasse: la Destra senza speranza e senza alleati. Indipendentemente dal suo moderatismo politico. Naturalmente dopo aver perso come una lucertola la sua coda centrista e liberal (o governativa). In altre parole, Follini – nonostante la sua mediocrità politica – si troverebbe avvantaggiato dalle tante componenti sparse dalla diaspora del cattolicesimo, mentre Fini – malgrado il coraggio o la "scena" di Fiuggi – sarebbe punito dalla mancanza di riferimenti e di politici disposti ad allearsi con An. Esclusi per 10 anni da qualunque Governo, insieme a Fini, anche Rifondazione e la Lega.
Per i liberali, comunque vada, quel "dopo Berlusconi" da troppo tempo e da troppi politici prefigurato come il momento della palingenesi, potrebbe rivelarsi caotico e perfino drammatico. Tanto più che sulla scena delle macerie della Casa delle Libertà non si vedono apparire leader carismatici di qualche appeal liberale, ma solo diplomatici e anonimi commis d’Etat senza personalità politica (Letta), cattolici la cui fittizia crosta "liberale" è stata infranta dalle posizioni clericali integraliste e illiberali sul referendum (Casini), e una Destra che finora ha finto e recitato, e che il liberalismo non l’ha mai del tutto digerito (Fini). E i Martino, i Biondi, i Costa, gli Urbani, i Marzano ecc., non vanno oltre l’encomiabile professione di idee liberali da accademia, tanto che qualche volta con i loro silenzi, la loro acquiescenza e il loro "inattivismo" rischiano di essere confusi dai giornalisti (non da noi che conosciamo il loro valore e la profondità del loro liberalismo) con certi peones senza qualità di Forza Italia o della Margherita, che sarebbero – a loro dire – "liberali" solo perché genericamente moderati, senza coraggio, senza idee proprie. Insomma, pseudo-liberalismo come ideologia dei mediocri.
I liberali veri, ovunque risiedano oggi, sono perciò chiamati dalle evoluzioni dell’attualità politica alla riorganizzazione. E sarebbe un errore ripartire come sempre dall’alto, cioè dai soliti quattro "addetti ai lavori", dai tre "politici di professione" sopravvissuti, magari dall’ex segretario politico, dal vecchio militante dei tempi di Malagodi, o – tanto per dire – dall’assessore della regione Sicilia o dall’eletto al Consiglio comunale di Lodi. Questa sarebbe la caricatura, perdente, della vecchia politica. Anche perché, siamo realistici e brutali, il fondo della botte liberale è stata già raschiato più e più volte. Ora è rimasto il puro legno di rovere. Così com’è, ormai, la botte liberale, elettoralmente parlando, non può dare più dello 0,5 o dello 0,8 per cento dei voti. Cioè nulla.
Questo, mentre il liberalismo è presente ovunque nella società, quando si è diffusa e consolidata da anni una larga fascia sociale e intellettuale di "neo-liberali" delle partite Iva, delle professioni, dei giovani che si sono "messi in proprio", dei giornalisti, degli intellettuali delle Università, dei presidenti e animatori dei tanti club che si richiamano al liberalismo (solo nell’indirizzario del Salon Voltaire ce ne sono centinaia), dei tanti ex comunisti o socialisti che hanno visto, capito, razionalizzato, e quindi cambiato idea in modo definitivo (vedi per tutti un Ferrara). Tutti nomi di opinion makers che valgono milioni di voti, e che non verrebbero toccati o coinvolti dalla solita meschina "riorganizzazione" dall’alto dei soliti quattro gatti. Urge, perciò, una nuova leva dei liberali, dal basso, magari con un grande e drammatico "Appello a tutti i liberali", ovunque si trovino, a partire dagli Ostellino e Panebianco, dai professori d’università ai managers d’azienda e professionisti, dai giovani delle realtà locali. Una grande Convenzione nazionale, una sorta di Stati generali del liberalismo in Italia che, è evidente, dovrebbe avere all’inizio anche un carattere culturale, ideologico, e non solo brutalmente politico, proprio per aggregare tutti. Una preliminare questua tra finanzieri e industriali potrebbe reperire tranquillamente i modesti finanziamenti per la Convenzione. Insomma, solo trovando i tanti nuovi soggetti liberali nascosti nella società, specialmente oggi che il liberalismo come nome è di moda, i liberali potrebbero di nuovo essere il centro della politica in Italia.
(Camillo Benso di Latour)
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UNA SCONFITTA VOLUTA
Silvio, gli errori suoi e degli altri
Quando Berlusconi cadde nel 1994, fu per l’azione dei suoi nemici d’allora (magistratura, sindacati, industriali, Lega). Se fosse caduto nel 2001, sarebbe stato ancora in gran parte per colpa dei suoi avversari. Ma ora, se Berlusconi cade, noi liberali sappiamo che è unicamente per i suoi errori. Aver formato una classe politica mediocre di "yesmen" deboli e senza idee. Non aver capito che chi lo aveva difeso, e malamente, dall’attacco dei nemici esterni non era adatto anche a governare. Aver scelto i consiglieri sbagliati per una dura guerra bipolare all’ultimo sangue (troppo moderati, mediatori e cattolici). Aver emarginato o non ascoltato gli unici spregiudicati liberali d’attacco, strategico e tattico, che avrebbero potuto fargli vincere la partita (Pannella e Ferrara). Ma soprattutto, aver avuto poco coraggio personale e non aver realizzato forti riforme liberali nei primi "100 giorni" della legislatura, quando il consenso era massimo.
Ora, la "sconfitta annunciata" alle Regionali fa pensare che all’inizio sia stata una débacle voluta e provocata. Forse per innescare un ciclo virtuoso, una reazione d’orgoglio nella molle e poco politicizzata base elettorale della CdL, da riscuotere l’anno dopo. La prova? I consiglieri suggerirono a Berlusconi di non esporsi, di non fare campagna elettorale, per non legare il suo nome ad una sconfitta. E dunque, avevano messo nel conto che era meglio perdere nelle Regionali del 2005 (in Italia le elezioni locali premiano quasi sempre l’opposizione) piuttosto che le Politiche del 2006. Un consiglio sbagliato? Difficile che fosse una trappola, dato che la tendenza del Centro-destra al non voto o al voto distratto è nota a tutti. Anche all’ex-Dc Pisanu, che infatti non rimandò le consultazioni, dandole ormai per perse, in seguito alla morte del papa, pur sapendo che questo elemento emotivo favoriva la distrazione e la dispersione, anche fisica, dell’elettorato anziano e marginale della CdL.
La sorpresa, semmai, è scattata dopo le elezioni. Quando anche i ben noti settori della fronda del Centro-destra (An, Udc, cattolici di FI), quelli che già nel 1994 avevano aderito con riserve mentali alla leadership eccentrica e irrituale di Berlusconi, hanno deciso improvvisamente di attribuire valore politico – contro il patto non scritto della vigilia – ad una normalissima sconfitta alle amministrative del 5-6 per cento, tradizionale in Italia e in Europa. Imitando così la strumentale tattica interpretativa del Centro-Sinistra. Questo cambiamento a sorpresa nella valutazione di risultati elettorali ampiamente previsti deve aver spiazzato il Presidente del Consiglio e deve avergli rivelato in modo evidente qualcosa che poteva somigliare a un piano preordinato. Per esempio di Fini, Follini e Pisanu.
Ma, anche così, anche a voler attribuire in modo improprio – e non ne siamo convinti – un valore forte e politico ai dati elettorali amministrativi, che si scopre? Che ha dato forfait la triade casalinghe-pensionati-Sud, cioè il ceto medio o medio-basso (De Rita), come si è accennato nel numero precedente del Salon Voltaire. Cioè sono stati i ceti, le regioni e le fasce demografiche più deboli e politicamente emarginate oppure borderline a distaccarsi dalla CdL o a disaffezionarsi dalle elezioni (che è la stessa cosa). Se diamo valore politico a questa disaffezione elettorale, ripeto, fisiologica in Italia, dopo quattro anni di dura crisi economica, il calo del 5 per cento potrebbe essere una tipica reazione di conservazione, di opposizione alle novità, di sopravvivenza, di fronte alle riforme, "minacciate" dalla Lega ad uso interno padano. Insomma, anche se a noi sembra molto enfatizzato per inconfessabili motivi politici, il modesto divario tra Centro-destra e Centro-sinistra creatosi alle Regionali, anche alla luce falsa – perché forzatamente politica – di questo scenario, Berlusconi potrà sostenere di essere stato sconfitto mentre tentava di fare qualche, sia pur piccolo, cambiamento. E noi che non abbiamo mai nascosto le nostre critiche liberali, dobbiamo riconoscerlo. Tanto più se ascoltiamo le motivazioni della "gente" dopo il voto, specie del Sud. Si ha proprio l’idea della difesa da un "pericolo", della "trincea" umana, della "rivolta" contro novità paurose, per quanto confuse, minimali, velleitarie e pasticciate possano essere queste novità. Si potrà pensare e dire tutto il male che si vuole del Centro-destra, ma ha perso perché voleva cambiare. Specularmente, tutto il bene possibile potrà essere detto e pensato del Centro-sinistra, ma ha vinto perché voleva conservare. (Marco Minghetti jr)
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VOTO IDEOLOGICO E PICCOLI PARTITI
E se votassimo per interesse?
Perché la politica italiana non assomiglia alle altre? Perché "siamo in Italia", direbbe l’amico Giuanìn, barista di via di Porta Vigentina, sempre ripreso come "il solito qualunquista" dal dott. Cantini, anziano capo del personale della "Elettrica del Nord, SpA", che – dicono certi avventori al banco abbassando la voce – pare sia laureato in sociologia a Trento. "Appunto" dice il Giuanin, che non è mica scemo, ed essendo di Bergamo è anche testardo. "Ste cose qui dovrebbe saperle". E anche stavolta – accade sempre più spesso – ha ragione lui.
Da noi anche le crisi politiche sono diverse dal resto del mondo civile. Sentite quel che scrive Franca Dellepiane dall’Australia: "Noi abbiamo sei Stati e due Territori, tutti con i loro governi autonomi. Al momento questi governi sono laburisti. Il governo federale invece è liberale (conservatore). A nessuno verrebbe in mente di chiedere nuove elezioni federali. Anzi l'elettore australiano ama la divisione di potere laburista-liberale perché crede che questa " balance of power " produca governi migliori. Mi stupisce che in Italia ci sia una crisi perché il governo ha perso la maggior parte delle elezioni regionali. È questa una ragione per mettere in crisi il governo? È così diversa la situazione italiana?"
E anche Raffarin, in Francia, ha perduto 24 regioni su 25, mentre Schröder in Germania nel 2004 ha avuto meno voti in sei lander, risponde il commentatore liberale Sergio Romano sul Corriere In Gran Bretagna è quasi normale: il governo conservatore di Major subì una continua emorragia e poté contare ai Comuni, per mesi, su un solo voto di maggioranza. "Vi sono Paesi in cui gli elettori preferiscono contrapporre al governo centrale governi locali di colore diverso. E ve ne sono altri in cui gli elettori si servono delle elezioni locali o parziali per dare la sveglia al governo. Ma nessuno ritiene che queste sconfitte bastino da sole a giustificare una crisi".
Dunque, sì, l’Italia purtroppo è diversa. Ma diversa "come"? Diversa per la psicologia del voto. "Molti italiani – prova a spiegare Romano – vanno alle urne per proclamare la loro identità politica e le loro simpatie ideologiche". Insomma, chiosiamo noi, sembra che dicano: "Sono romanista (o milanista) di ferro, e tifo la Roma (il Milan) fino alla morte, anche se perde". "Totti ha mollato un pugno in faccia all’avversario? Fa niente, per me è grande lo stesso". Insomma, una questione di malinteso "onore", di "fedeltà". "Mentre gli elettori in altri Paesi – sostiene Romano – pensano soprattutto all'efficacia del loro voto e scelgono il partito più vicino ai loro interessi, che abbia al tempo stesso maggiori possibilità di vittoria, parecchi italiani amano votare per il " partito del cuore ". Perciò abbiamo tanti partitini, tante sfumature, tante correnti. Perché tante sono le squadre di football su cui gli Italiani bambini possono riversare il loro infantile ed egocentrico "tifo" sportivo. Anche se, per esempio, la squadra del cuore gioca male, compie falli, non vince mai, pratica il doping, corrompe arbitri e guardalinee, e con i suoi giocatore brasiliani, tedeschi, veneti o baresi non li rappresenta minimamente neanche dal punto di vista etnico-geografico.
Il risultato? Un panorama politico molto più spezzettato di quello delle grandi democrazie liberali d’Europa. Colpa del maledetto individualismo italico, che ha sfornato una legge elettorale levantina. Il 75 per cento del Parlamento italiano si compone di deputati e senatori eletti in collegi uninominali nei quali vince il candidato che supera gli altri anche di un solo voto. Ma il 25 per cento è formato da parlamentari eletti con lo scrutinio di lista e il voto proporzionale. Insomma, una legge con due principi contraddittori. Costringe i partiti vicini ad accordarsi nei collegi uninominali per non disperdere i voti, ma li spinge a battersi l'uno contro l'altro per la conquista dei voti proporzionali.
Ma ora sembra che questo 25 per cento sia diventato lo specchio del Parlamento, e il voto proporzionale la misura del peso che ogni partito rivendica all'interno della propria coalizione. Quando il governo subisce una sconfitta – nota Romano – i partiti alleati minori pensano alla scadenza elettorale e si preparano al voto (proporzionale) allentando i vincoli maggioritari della coalizione. Come dire agli elettori: non siete soddisfatti? Guardate che la colpa non è nostra, ma del partito egemone. A rischio di perdite gravi nel voto maggioritario, i piccoli partiti (e il discorso vale sia per la Destra che per la Sinistra) contano di strappare un buon risultato nella quota proporzionale. Ma non è una prospettiva ottusa? Fatto sta che una percentuale minima, come il 5 per cento, irrilevante in altri Paesi liberali, nell’Italia dei trucchi e dei machiavelli legislativi (non per nulla si è "maestri di Diritto…) consente ai piccoli partiti di negoziare, contrattare, mercanteggiare, ricattare. Le prepotenze di Ghino di Tacco, ma per carità: "tutto legale". E, attenzione, da qualche liberale questo "riguardo" alle piccole formazioni viene spesso istintivamente considerato una sorta di "contrappeso" necessario al presunto "prepotere" delle maggioranze, una "misura provvidenziale".
Ora, è chiaro che a noi liberali sud-europei, quindi abituati alle sconfitte, piacciono più i piccoli che i grandi partiti. Cosa che noi spacciamo abilmente, post factum, per "elitismo", salvo poi cadere per disperazione nell’etilismo. Avete presente la volpe e l’uva? "Cara, vuoi un grande partito da maggioranza relativa? No, che schifo, grazie tante, non mi piace. Preferisco un piccolo partito di nicchia, anzi una correntina di fronda… Piccolo è bello, se il grande è irraggiungibile. Ma anche senza razionalizzazioni pietose, è comprensibile che talvolta il liberale medio abbia qualche conto in sospeso con la volgare democrazia e con l’amato-odiato "popolo". E’ impresso nel nostro glorioso Dna storico, e non ce ne vergognamo affatto.
Quello che invece non possono permettersi i liberali, che da generazioni pontificano sulla praticità e sul decisionismo delle scelte, è che il sottile distinguo particolaristico a scapito delle maggioranze, possa prevalere sulla governabilità e sull’efficienza del sistema. Rischia di essere un vero e proprio paradosso. Che cosa cela quest’improvvisa ansia di "rappresentatività" perfetta? E a qual fine, poi? Statistico? Se così fosse, allora basterebbe tornare al proporzionale puro. Per non governare. Non sarebbe meglio, allora, indire di tanto in tanto, a puro scopo statistico-demografico, dei "censimenti politici" nazionali? Finalmente torneremmo a sapere con esattezza come vota l’ultimo elettore di Abbiategrasso o di Milazzo. Per farne che, poi? Non si sa. A meno di non teorizzare sul "diritto di interdizione" come ultima trincea del potere delle minoranze e dei perdenti. Lo hanno dimostrato i casi Udc, An, Lega, la Mussolini, Storace ministro, D’Alema primo ministro, Rifondazione, Verdi, Margherita, Mastella. Perfino lo stesso Prodi, leader per illuminazione dello Spirito Santo, ma senza uno straccio di voto popolare, né maggioritario né minoritario.
Perciò, l'Italia resta l’unico Paese liberal-democratico in cui comandano le minoranze. Fossero minoranze "elette", poi. Spesso sono le più sbagliate, sempre più becere delle maggioranze. L’unico Paese in cui, a differenza delle grandi democrazie liberali anglosassoni, la politica è condizionata più dalle piccole che grandi percentuali di voti, più dai perdenti che dai vincenti, più dai partiti-fantasma che da quelli veri, più da pochi individui furbi che dalle grandi masse amorfe. E noi liberali non sappiamo neanche se possiamo rifare il verso alla battuta del giornalista cinico del film: "E’ la Democrazia, bellezza". Ma è democrazia?
(Giolitti, il gelataio di Campo Marzio)
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DICHIARAZIONE DEI REDDITI
Otto per mille agli ebrei (o ai valdesi)
Si avvicina il momento della denuncia dei redditi e il Salon Voltaire suggerisce ai suoi lettori di destinare la quota Irpef "otto per mille" all’Unione delle Comunità Ebraiche. Motivazioni? Tante. Ma a noi ne basta una: a differenza della Conferenza episcopale presieduta da Ruini (l’assemblea dei vescovi italiani), l’Unione delle Comunità ebraiche non ha mai rotto le scatole ai cittadini italiani con divieti, suggerimenti politici o elettorali, prescrizioni autoritarie, dichiarazioni arbitrarie.
Anziché ringraziare e umilmente prostrarsi per i 2000 miliardi di lire (1 miliardo di euro) all’anno che gli diamo, in cambio di niente, visto che non sono buoni neanche a custodire il patrimonio artistico (e i rendiconti sono quasi inesistenti), i vescovi che ricevono per la Chiesa cattolica l’enorme somma ci fanno la predica, come se i cittadini italiani fossero tutti bambini cretini. Hanno condannato perfino i non credenti e i laicisti, hanno cercato di fare proseliti come missionari, hanno tentato di "convincere" agnostici e dissidenti con la forza dei divieti e delle leggi (tratto caratteristico, questo, dei Cattolici e dei Musulmani), e hanno perfino stabilito che il popolo non dovrà andare a votare il referendum sulla procreazione. La Comunità ebraica, invece, più dignitosamente, non ha fatto nulla del genere, anzi con intelligenza e buon senso ha preso – con la discrezione che si addice ad una Fede che non è potere politico – posizioni razionali e sempre improntate alla tolleranza per tutte le idee, alla moderazione, al rispetto per la scienza, per la cultura e l’intelligenza. Senza per questo annacquare i riti e le tradizioni ebraiche per gli osservanti.
Del resto, non è una novità. Visto che una legge singolare e anti-costituzionale finanzia le religioni con le tasse del cittadino, anche se questo non sceglie una Comunità in particolare, tanto vale affidare la somma a chi vogliamo noi. E’ da anni che molti laici e liberali, indipendentemente dal proprio credo religioso, affidano nell’annuale dichiarazione dei redditi il loro "otto per mille" alla Comunità ebraica o a quella evangelica (di cui fanno parte i Valdesi), come una sorta di premio e riconoscimento per il ruolo sociale improntato al motto caro a Cavour "libera Chiesa in libero Stato" che le due Comunità svolgono con dignità. "Ma come – dirà qualcuno – dare soldi ai protestanti e agli ebrei? Non è come portare vasi a Samo?"
No, perché, semmai, il ruolo del ricco, anzi dello straricco, e per di più senza nessun rischio o imposta, ce l’ha la Chiesa cattolica "povera" e "pauperistica", la Chiesa di S.Francesco e della retorica del "Terzo Mondo buono", "affamato dal capitalismo e dal liberismo selvaggio dell’Occidente". La Chiesa cattolica oggi nuota nell’oro, godendo da decenni dell’enorme gettito dell’otto per mille – quasi un miliardo, tra destinazione principale e donazioni accessorie – mentre le Comunità ebraica e valdese sono povere, ma animate da disegni, progetti e motivazioni che coincidono con quelli liberali. Altro che gli "ultimi": questi vescovi di potere non devono aspettare il Giudizio Universale per diventare "i primi": primi lo sono già ora su questa Terra. E d’autorità.
E quest’anno, poi, c’è qualche motivo in più per beneficare le due Comunità al posto della Chiesa cattolica. Fatti oggetto di terrorismo e di odio ingiusto in tutto il mondo, gli ebrei si difendono con dignità, ma a fatica. Vanno aiutati. L’Unione delle comunità ebraiche conduce faticosamente il suo compito di ricostituire l’organizzazione e l’identità della piccola comunità ebraica italiana, sottoposta all’incomprensione, se non all’ostilità dei tanti antisemiti di Destra e ancor più di Sinistra. E va sostenuta da noi liberali, perché la lotta per la sopravvivenza intrapresa dagli ebrei è la stessa dei liberali, e perché storicamente l’intelligenza, la tolleranza, la cultura ebraica, hanno sempre costituito un valore aggiunto per tutti gli uomini liberi. Senza considerare che, come minoranza, come anello debole, gli ebrei hanno dato e danno tuttora la misura del livello di tolleranza esistente in un Paese. In Italia, perciò, sono una cartina al tornasole del grado di libertà reale, perfino di laicità.
In alternativa ci sono i protestanti valdesi. Questa Comunità ha presentato alla Rai una pubblicità radiofonica che ha un buon sapore liberale e laico, ed attira perfino gli atei e gli agnostici: "Nemmeno un euro verrà utilizzato per le attività di culto". Messaggio già trasmesso lo scorso anno. E aggiunge uno slogan efficace per i razionalisti: "Molte scuole, nessuna chiesa" . Ma la Sipra, d'accordo con Rai-trade, lo ha bloccato perché vi ha letto maliziosamente un qualche intento polemico. "Il codice deontologico – ha obiettato la concessionaria della Rai – vieta valutazioni di carattere ideologico e religioso". "Troppo polemico contro la Chiesa cattolica", spiegano informalmente in Rai. Dov’è la polemica? I valdesi protestano, giustamente, e scrivono al direttore generale Cattaneo: "Il nostro intento era già nell'intesa con lo Stato. Quello che non si vuole trasmettere è il richiamo alla legge". Il largo pubblico non deve sapere. Una censura bella e buona, insomma, come lamenta anche Valdo Spini (Unione), di nome e di fatto il più noto uomo pubblico valdese.
Sulla scandalosa bocciatura dello spot che osava fare concorrenza alla Chiesa, Spini ha presentato un'interrogazione parlamentare. E accusa: "Qui è in pericolo la libertà di espressione religiosa". Intanto, sul quotidiano Il Riformista è apparsa una inserzione pubblicitaria dell'associazione Anticlericale.net (appartenente alla galassia radicale) che fa contro-informazione sull'8 per mille e invita a firmare a favore della Chiesa valdese. Nel frattempo hanno preannunciato che destineranno l'8 per mille ai valdesi, oltre a Marco Pannella, anche Daniele Capezzone e Marco Cappato, segretari di Radicali italiani e dell'associazione Luca Coscioni; e gli esponenti radicali Bernardini, Turco e De Lucia. "E’ scandaloso che la Rai trasmetta in continuazione gli spot della Conferenza episcopale italiana, che tutt’al più chiarisce il 20 per cento degli impieghi del miliardo di euro raccolti dalla Chiesa, mentre poi boccia lo spot della Comunità valdese che motiva il 100 per cento delle sue realizzazioni", ha dichiarato Maurizio Turco. Insospettisce anche la mancata pubblicità dei lavori della Commissione che avrebbe dovuto adeguare la quota deducibile dall’IRPEF alle finalità della legge, instaurando di fatto un "segreto di Stato" – ha denunciato Turco – sul "trasferimento di 1 miliardo di euro (circa duemila miliardi di lire) all’anno dal bilancio dello Stato italiano ad un paese straniero." (Ernesto Martini & Rossi)
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CRISI DELLA DEMOCRAZIA IN EUROPA
Un tedesco su tre stanco della libertà
Preoccupa noi liberali che le classi dirigenti d’Europa con i loro vistosi errori e la loro politica talvolta autoritaria, burocratica, assistenziale e neo-statalista stiano alienando il consenso sociale su cui si è fondata la liberal-democrazia. La disaffezione sta colpendo diversi Paesi europei, dalla Francia (la metà è per il no alla Costituzione d’Europa) alla Germania, senza contare i Paesi dell’Est-Europa ex sovietico. Il sondaggio di Der Spiegel è illuminante: una buona parte dei tedeschi si dichiara stanca della democrazia e perfino della libertà. Sarebbe stata la crisi economico-sociale in cui si dibatte da anni la Germania, dovuta alla disoccupazione e ai tagli allo stato sociale, ad annacquare l’entusiasmo per la democrazia e la libertà ritrovata dopo la sconfitta del nazismo e la riunificazione tedesca. Quasi un terzo dei tedeschi non crede più ai valori del sistema democratico-liberale. Mentre nel 1986 era appena il 6% dei tedeschi dell’ovest, ora è il 30%, e nella parte orientale (ex comunista) del Paese addirittura il 38%. (La cuoca di Pareto)
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AEREO IN FIAMME. TUTTI SI GETTANO, MA…
"E l’italiano atterrò per primo…"
A 10 mila metri d’altitudine, il pilota d’un jet "executive" con a bordo uomini d’affari di varia nazionalità dà l’allarme con voce concitata: "Motori in fiamme, motori in fiamme, abbandonare subito l’aeromobile – urla il comandante nell’interfono – indossare i paracadute e prepararsi a una lunga discesa". Il primo a buttarsi di sotto, senza fare domande, è naturalmente il tedesco. Seguito dall’americano, anche lui efficiente e pronto all’ordine del pilota. Però lo fa solo dopo una ricognizione visiva: sì, i motori sono effettivamente in fiamme. E così, ad uno ad uno tutti si gettano col paracadute. Restano un cinese e un italiano, che non ne vogliono proprio sapere. La hostess e il comandante, che aspettano di gettarsi per ultimi, li invitano spazientiti. Ma i due resistono. L’italiano, che la sa lunga, dice di non credere alla "storia dell’incendio". I motori riprenderanno a funzionare, è sicuro. E qualcosa all’ultimo momento risolverà la situazione. Il cinese invece vuole essere l’ultimo, per rivendersi la carcassa dell’aereo sul mercato dei metalli di Hong Kong. Il furbo italiano, però, ha la meglio: spinge nel vuoto i tre e resta solo sull’aereo in fiamme. Ma poi, lambito dalle fiamme, terrorizzato si butta anche lui.
Pur essendosi gettato per ultimo, però, l’uomo d’affari italiano arrivò per primo al suolo. Come mai? Un’accurata ricostruzione delle autorità inquirenti appurò alcuni giorni dopo quanto segue. Durante la lunga discesa gli uomini d’affari tedesco e americano trovarono il modo di accordarsi per una joint-venture che avrebbe prodotto preservativi in Oriente. L’inglese, scusandosi per aver sentito tutto, propose ai due di registrare la società in Gran Bretagna, guadagnandoci un sacco di soldi col cambio dollaro-euro-sterlina. Il polacco non resistette alla tentazione del primo lavoro: discese lungo la facciata dell’Empire State Building lavando tutti i vetri e guadagnandoci centomila dollari. L’indiano fu attento a non cadere sui rovi per non rovinare la stoffa del paracadute, che riusci a piazzare ad un boss della mala fabbricante in nero di biancheria intima femminile. Lo spagnolo dimenticò di azionare l’apertura per corteggiare la hostess, e aggrappato al di lei paracadute si salvò a stento, non senza averla prima convinta a diventare la sua segretaria-amante "por la vida". Il francese, parlando al telefonino di "ordinateur" anziché di computer non si fece capire e si sfracellò al suolo. Il cinese deviò planando verso Napoli dove riuscì a piazzare ordinativi per un milione di camicie fallate a 1 euro l’una. Il brasiliano commise l’errore di ascoltare samba con l’auricolare: si impigliò tra i tiranti e finì nel Rio delle Amazzoni brulicante di coccodrilli. Il belga, a cui l’albanese aveva rapinato il paracadute tagliando i tiranti con un temperino, precipitò nell’Oceano infestato da squali urlando in due lingue.
E l’italiano? Partito, come sempre, per ultimo, arrivò per primo. Perché per fare il ganzo era disceso velocissimo, cercando di superare tutti in modo scorretto. Ma, naturalmente, inimicandosi tutti e senza stipulare alcun affare. Una volta arrivato baciò per terra, si fece il segno di croce, si aggiustò la cravatta e si sistemò i capelli. Erano ad accoglierlo la mamma e la sorella vestite a festa e con le lasagne al forno e la crostata, gli ex compagni di scuola, i commilitoni del corso di Caserta, gli amici del bar, la banda, il parroco e il sindaco. La Regione gli conferì un premio. L’Aeronautica lo nominò paracadutista ad honorem. Il Presidente Ciampi gli appuntò una medaglia e lo fece commendatore. Il Papa e Vespa lo ricevettero nelle rispettive trasmissioni. La Presidenza del Consiglio diramò un comunicato ripreso da tutti i tg: "Primato italiano. Record di velocità nella discesa libera con paracadute da aereo in fiamme: sbaragliati gli altri Paesi". Le Poste emisero un francobollo speciale: andava leccato davanti e di dietro. (Salvatore, quello che scopa in Redazione)
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UN TOTALITARISMO NON VALE L’ALTRO
Lenin salvato dalle "intenzioni"
L’Europa non ha una vera memoria condivisa. E non ci riferiamo alla diatriba sulle radici lontane, come la civiltà romana o quella cristiana, ma agli ultimi 70 anni. Il comunismo, che in Italia e in Francia è stato per qualche anno alleato dei liberali e democratici nella lotta al fascismo e al nazismo, tanto che qualche ingenuo lo ha potuto scambiare per un movimento di "pace" e di "libertà dei popoli", ha significato per tutto l’Est europeo un’oppressione durata decenni, paragonabile solo a quella nazista in Germania, anzi forse un regime ancor più illiberale, se possibile, di quello hitleriano. Ma allora, se la croce uncinata e il fascio littorio sono ormai simboli negativi, come mai falce e martello è ancora presente nelle bandiere della Sinistra italiana e nel patrimonio dei ricordi d’una generazione di intellettuali, come se si trattasse d’un emblema positivo, di progresso?
E’ l’argomento sollevato da un questionario pubblicato nell'ultimo numero della rivista MicroMega sul tema della "equiparazione impossibile" di "fascismi e comunismi". Le risposte, alcune inquietanti, dimostrano che chi è stato comunista o filocomunista senza aver provato sulla propria pelle non la levità irresponsabile della filosofia marxiana, ma il rigore pesante dei comunismi "reali", ancora non è capace di liberarsi da quello che François Furet definiva l'argomento delle " buone intenzioni ". Buone intenzioni? Ma sì, la scusante che il comunismo, a differenza del nazismo, è stato sì una catena di errori e di orrori, ma pur sempre generata da una nobile e generosa intenzione emancipatrice. Mentre il nazismo, ha osservato Furio Colombo, contiene il "terrore" come "impegno dichiarato", il comunismo reale rappresenterebbe al contrario "il tradimento di una promessa". Comodo interpretare così. Ma se così fosse – osserva saggiamente Pierluigi Battista – non sarebbe ancora peggio? Attuare il massimo del Male con l'intenzione (o dopo aver promesso) di fare del Bene non costituisce piuttosto un'aggravante rispetto a chi fa il Male dopo averlo promesso e dichiarato ai quattro venti? Insomma, per noi liberali questo pseudo-argomento delle "buone intenzioni", sia pure "disattese" (ma viste le premesse, le azioni e i personaggi, chi era il cretino-complice che poteva "attendersele"?), non solo suona come l’ennesima atroce beffa di intellettuali comunisti incarogniti dall’età, dai privilegi e dall’arroganza, ma è ripugnante sul piano morale. Eppure è ormai entrato negli stereotipi sottoculturali della Sinistra e perfino di qualche liberale.
(Il fattore di Tocqueville)
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FANATISMO CRIMINALE DIFFUSO. CENSIMENTO
In carcere gli islamici violenti
Una madre di Varese ha confessato che i suoi due bimbi piccoli, di appena 6 e 10 anni, erano selvaggiamente picchiati dal padre, un fanatico islamico, ogni qualvolta ritardavano di alzarsi alle 5 di mattina per pregare Allah, come prescrivono le norme islamiche interpretate in modo rigoroso. In pratica le violenze e i maltrattamenti avvenivano quasi ogni giorno. C’è voluto l’intuito della maestra elementare per capire che origine avessero i lividi diffusi, le lesioni, il vomitare sangue, la stanchezza abituale, ed altri gravi sintomi dei bambini, originari del Marocco. Ora, dopo la Asl e i Carabinieri, che hanno arrestato il padre, è la magistratura ad occuparsi della vicenda. Ma a noi resta una sola considerazione: quanti casi del genere si verificano ogni giorno in Italia nel chiuso delle case degli immigrati islamici? Centinaia o migliaia di casi? E che ne direbbero i Servizi sociali e i tanti psicologi delle strutture pubbliche di una grande indagine a tappeto (con metodi non polizieschi) sulle condizioni e sulle situazioni di violenza negli ambienti degli immigrati? La libertà e l’integrità della persona sono un valore assoluto o no? (La figlia cleptomane di Beccaria)
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EUROPA CHE SE LA FA SOTTO. IL FILM DI VAN GOGH
Allora aveva ragione la Fallaci
Il terrorismo, come la dittatura, "sporca" anche le coscienze. Perché colpisce le vittime due volte. Rende vili e paurosi quelli che ignoravano di esserlo e lascia dietro di sé una stria inguaribile di schifo per se stessi. E’ su questo ignobile mezzo psicologico, ben noto ai dittatori (e oggi ai terroristi islamici), che la violenza fonda il suo apparente successo. Coinvolge le vittime, come nello stupro. La vittima della violenza si sente, e in fondo è realmente, anche un po’ complice, carnefice di se stessa. Subìta la violenza, sicuramente si stimerà di meno.
Come, ad esempio i proprietari, i noleggiatori, i tecnici dei cinema, i produttori del film di van Gogh "Submission", insomma tutte quelle persone che, ognuno per conto proprio, se la sono fatta sotto di fronte alle minacce dei terroristi islamici, alle telefonate anonime, ai volantini trovati nella posta. Fatto sta che il film non è stato proiettato che alla Camera e al Senato italiani. Annullata la proiezione di "Submission" chiesta all’Euro-Parlamento: timori per la sicurezza. Niente televisione e neppure sale cinematografiche. il produttore del film, Gijs van de Westeleken, amministratore delegato della "Column Productions" di Amsterdam, ha inviato un'e-mail ultimativa in cui nega al deputato Borghezio "il permesso di riprodurre con qualsiasi mezzo il film "Submission" di cui la "Column Production" possiede i diritti", minacciando "pesanti conseguenze legali". Una censura? Eppure il disco dvd col film circola tranquillamente nei mercatini di Amsterdam e su internet. E dopotutto è stato già trasmesso a suo tempo dalla tv olandese. Allora, aveva ragione Oriana Fallaci: è la paura che sta trasformando l’Europa in "Eurabia"?
Il solito leghista provocatore? No, stavolta ha ragione: è censura. Se vogliamo, anche auto-censura. Insomma, una mano data al terrorismo. Dice il deputato italiano Edoard Ballaman: "L'opera di Van Gogh non aveva un intento offensivo. Censurarla significa cedere al ricatto di chi ha ucciso il regista". L'altro eurodeputato leghista, Matteo Salvini: "Penso a Santoro, alla Gruber, sempre pronti a denunciare la censura in Italia. Bene, vorrei che oggi lo facessero a livello europeo". La questione non è solo legale (il rispetto del copyright"), ma è soprattutto politica. Quello che irrita gli islamici è il contenuto del film, il monologo della donna musulmana che mostra la schiena vergata dai versetti del Corano, che racconta la "sottomissione" al marito, gli abusi sessuali dello zio e termina, sgomenta, davanti al "silenzio" di Allah. Tra l’altro, dieci minuti di filmato per niente scandalosi per noi occidentali, con l'attrice protagonista, la giovane parlamentare somala Ayaan Hirsi Ali, già socialdemocratica e ora passata al gruppo liberale, che parla con le labbra coperte dal velo nero. Ma deve essere stato troppo per i fanatici medioevali dell'Islam che, nella loro incultura, devono aver visto in Van Gogh un secondo blasfemo Salman Rushdie. (Madame de Stael)
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UNA STORIA GIA’ VISTA: I FRUTTI DELL’ODIO
E, al solito, gli ebrei sloggiano…
La striscia di Gaza sta per essere sgomberata dai coloni israeliani che l’abitano, che l’hanno civilizzata da landa inospitale che era, che l’hanno anche resa fertile e produttiva. E per la gente di Israele è un altro dramma. C’è chi lascia case, orti, allevamenti, ricordi, panorami, odori, tutta una vita. Su Informazione Corretta Deborah Fait ha scritto un bell’articolo emozionante, anzi un po’ drammatico e denso di sentimenti forti, com’è nel suo stile: "I miei pensieri stasera al seder di Pesah". Ma qui il dramma è vero e del tutto sottaciuto dalla solita stampa: quello dei coloni. Che non sono né aggressivi, né terroristi, che non hanno cacciato nessuno: hanno solo occupato luoghi in cui non c’era nulla. Famiglie che voleva semplicemente vivere, lavorare duro, coltivare la terra, allevare animali.
Decine di psicologi – riferisce la Fait– sono già a Gush Katif, vanno nelle famiglie per parlare, ascoltare, spiegare, consolare, vanno nelle scuole per ascoltare i ragazzi, i bambini ebrei, per spiegare il motivo di questa tragedia necessaria per ottenere un po' di sicurezza, non solo per il Paese ma anche per loro che si sono visti piovere sulla testa più di 5000 missili. Parlano gli psicologi e migliaia di occhi disperati li guardano e migliaia di orecchie ascoltano le loro parole ma migliaia di bocche chiedono "perché'?". Dobbiamo capirli, anche se le ragioni della Realpolitik sono contro di loro. Ancora una volta Ebrei cacciati, ebrei che devono fuggire, che devono abbandonare precipitosamente i luoghi dove hanno messo radici, che – in caso di rifiuto – devono essere portati via con la forza. Stavolta da altri ebrei, i poliziotti, i soldati. Le vecchie donne piangono, i bambini hanno lo sguardo stupito e si fanno la pipì sotto dalla paura, gli uomini non sanno darsi pace guardando le meravigliose serre che racchiudono tutto quel ben di dio di verdure e ortaggi sottratti con sforzi, soldi e intelligenza ad una natura avara. E ora, tutto sarà abbandonato, tutto perso. Perché? Perché i palestinesi sono razzisti e non sopportano neanche un solo ebreo nei loro futuri territori. Che differenza con Israele, in cui vivono tanti arabi musulmani, trattati e rispettati come cittadini a tutti gli effetti. E intanto, commenta desolata la Fait, l’odio contro gli ebrei e Israele continua a produrre effetti nefasti. A Torino – e prima a Pisa, Firenze e Bologna – dove all’Università il diplomatico israeliano Elazar Cohen e la docente di Geografia Daniela Santus sono stati affrontati e minacciati da gruppi di studenti nazi-comunisti, in Gran Bretagna dove l'Association of University Teachers, cioè i docenti universitari, hanno votato il boicottaggio delle Università israeliane per "scarsa critica" al Governo Sharon. anche negli Stati Uniti, alla Columbia University gli studenti filo-palestinesi hanno chiesto, invano, alla Caterpillar di non vendere più i suoi bulldozers a Israele. (Sarah Veroli, commessa in via Ottaviano)
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I LINCEI SULLA RICERCA CON EMBRIONI
Gli scienziati: "Usiamo quelli congelati"
Si sono presi a male parole, perfino loro che sono abituati da decenni al linguaggio asettico della scienza. Ma ormai il bipolarismo più duro divide a metà anche i consessi scientifici. E così gli scienziati seniores dell’Accademia dei Lincei, dopo rinvii, cavilli, escamotages e mozioni d’ordine, accuse ("Siete come Hitler", "Ricordatevi di Galileo") assai poco comuni in quelle austere sale di via della Lungara, hanno alla fine votato a maggioranza (58 sì, 8 no, 14 astenuti) e approvato. Che cosa? L’utilizzo nella ricerca medica e scientifica almeno degli embrioni in sovrannumero avanzati dai vari interventi di fecondazione artificiali e rimasti finora congelati in azoto liquido. Che altrimenti sarebbero rimasti inutilizzati, col rischio di venire gettati via. E si tratta di parecchie migliaia di unità, utilissime nei laboratori italiani.
Il no sarebbe stato assurdo, si precisa in ambienti dei Lincei, perché avrebbe contraddetto leggi in vigore. Come quella che consente di interrompere una gravidanza entro tre mesi dal concepimento. La seconda che consente la vendita della pillola del giorno dopo capace di produrre effetti analoghi rispetto a possibili concepimenti avvenuti fino a 72 ore prima". Infine il richiamo alla convenzione di Oviedo che "non vieta la produzione di embrioni a fini fecondativi e il loro uso a fine di ricerca di base nel caso questo fine fecondativo divenga superfluo". In conclusione l’Accademia si augura che "sia evitata la perdita o l’eliminazione, invece dell’utilizzo, degli embrioni sovrannumerari congelati attualmente esistenti e che il Parlamento approvi rapidamente leggi che consentano, in condizioni severe, controllate e protette da abusi, la donazione. Verranno in tal modo accresciute le conoscenze scientifiche e alleviate le gravi sofferenze prodotte da malattie degenerative". In pratica la ricerca dovrà riguardare solo gli ovociti congelati che già esistono, donati dalle coppie cui appartengono. A poco più d’un mese dal referendum del 12 e 13 giugno, ha commentato Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni "Il voto dei Lincei è un pronunciamento di buon senso. Una conferma della distanza tra la gran parte della comunità scientifica e il legislatore che ha partorito la legge 40. Gli accademici hanno sottolineato con semplicità la contraddizione di una legge che, sacralizzando l’embrione, preferisce che i 30 mila embrioni soprannumerari esistenti oggi in Italia marciscano nei congelatori, piuttosto che essere utilizzati per cercare la cura contro malattie". Per la biologa Raffaella Nicolai la presa di posizione dell’Accademia rispecchia in pieno "l’evidenza scientifica e anche medica: l’embrione non è persona umana". (Gennarino de Condillac)
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BIOETICA. PARLA IL LIBERALE AZZONE
Solo vantaggi dalla libertà di ricerca
Il liberale Giovanni Azzone, professore emerito dell’Università di Padova, già ordinario di Patologia generale, è stato il principale artefice della risoluzione innovativa dei Lincei. Una proposta umanitaria – dice – quella di utilizzare le staminali degli embrioni in soprannumero. Uno scopo nobile, nell’interesse dell’umanità, quello di diminuire le sofferenze dei pazienti. E dalle staminali dell’embrione trarremo grandi vantaggi . Noi abbiamo analizzato la questione con mentalità aperta. La donazione degli embrioni sovrannumerari deve essere vista come un atto umano, come per gli organi". Ma nel testo della risoluzione c’è una espressione ambigua: "embrioni attualmente esistenti". Come va interpretata? Come un divieto per quelli futuri? "Ci saranno sempre nuovi embrioni in eccesso: a mio parere vanno considerati attuali anche quelli. (Lord Harold Acton)
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REFERENDUM.
Hack: "Ma è una legge medievale"
Al bar del Giuanìn di Porta Vigentina l’hanno capita subito. In fondo è come quando il rag. Colombo, interista sfegatato, nell’intervallo del lunedì offre tramezzini alla bresaola a tutti dopo una vittoria dell’Inter (ma siccome è taccagno, insinuano i milanisti, si è scelto una squadra che non vince mai…). La Simona, vegetariana, il panino non lo prende. Punto e basta. Non è che si mette lì a recriminare. Al massimo se lo fa cambiare con uno al radicchio, se c’è. Ecco, il Giuanìn, che è un tipo semplice e va per le spicce, vede così la faccenda della fecondazione in clinica: "Che bisogno c’è di litigare? Voi due non riuscite ad avere figli, o avete una malattia che potrebbe beccarsi anche il bambino. Andate in clinica e, zac, una punturina alla ragazza mette a posto tutto…La donna che non vuole, magari cattolica fondamentalista, la puntura non la chiede. Contenti tutti e più amici di prima". Magari fosse così semplice, caro Giuanìn, sapessi quanta gente che non ha niente a che fare con la "punturina", come la chiami tu, vuole impedire agli altri di farla: preti, professori anziani, politici. E se questi personaggi che strumentalizzano la questione facessero un passo indietro?
"Invito tutti i cittadini, e soprattutto le donne, a ricordare l´appuntamento dei referendum sulla fecondazione assistita, referendum contro una legge iniqua e medievale". Le parole sono dell´astrofisica Margherita Hack, tra le figure più importanti del panorama scientifico italiano e internazionale. La Hack si era già impegnata nel periodo della raccolta firme a favore dei referendum e torna all´attacco contro la legge 40: "Si tratta di una legge antiscientifica, perché impedisce la ricerca sulle cellule staminali embrionali che potrebbero guarire enormi malattie, e di una legge liberticida, perché incide sulla libertà più intima dei cittadini, in particolare delle donne. Inoltre, non si può imporre la morale cattolica a tutti i credenti e non credenti. Per questo, va assolutamente cancellata". La Hack commenta, inoltre, lo slittamento dell´appuntamento referendario al 12 giugno, ultima domenica utile per il voto: "Un modo di fare subdolo. È evidente che cercano di non far raggiungere il quorum". E a chi sostiene che bisogna boicottare i referendum perché chiamano la gente comune a esprimersi su materie troppo complicate, l´astrofisica replica duramente: "Ma figuriamoci! È una cosa talmente ovvia, invece. Qui si parla della salute e della libertà di avere figli. Mi pare sia una cosa che tocca la gente da vicino, nel suo intimo, e mi pare che chiunque la possa capire". Infine, un appello a tutti gli uomini e le donne di scienza a sostenere la causa del comitato per il sì ai referendum: "Penso che sia doveroso appoggiare il comitato. Io l´ho fatto fin dall´inizio. È nostro dovere contrastare una legge che va contro la scienza e la libertà".
Diversa la posizione di molti scienziati e laici: entro i primi 14 giorni dal concepimento, l’embrione ha solo potenzialità di vita, ma non può essere considerato ancora una persona in quanto non ha cervello e sistema nervoso. In vista del referendum di giugno Radicali, Ds, Rifondazione, Verdi, Pdci e liberal di Forza Italia costituiscono il fronte del "sì", un partito anche in questo caso trasversale, che punta sull’abrogazione di alcuni articoli chiave della legge. (Benjamin Constant)
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STATO INGIUSTO CON IL CARABINIERE
Sparò per difendersi: cacciato dall’Arma
Ha dato scandalo la messa in congedo definitivo dall’Arma di Mario Placanica, il carabiniere che nel luglio 2001 durante i moti estremistici di Genova in occasione del G8, accerchiato e attaccato da un gruppo di manifestanti armati di bastoni e travi, sparò e uccise il giovane Carlo Giuliani. Ora dopo varie vicissitudini è stato posto in congedo assoluto perché "permanentemente non idoneo per infermità dipendente da causa di servizio". Il suo legale si opporrà, ma l’opinione pubblica è certa che questo carabiniere sia stato in realtà ingiustamente punito. Eppure era stato assolto al processo che era seguito ai fatti. Davvero una decisione inspiegabile, che getta un ombra sui vertici dei Carabinieri. Qual è il messaggio che si vuole dare a chi si arruola ora? Forse questo: "attenzione, futuro allievo: l’arma che ti diamo non devi mai usarla, e in caso di incidente né noi né la magistratura ti difenderemo". Bel modo di gestire la politica dell’ordine pubblico e di demoralizzare le forse di Polizia. Perfino il comando dell’Arma si è trasformato in un’ennesima parrocchia dell’ "ipocritamente corretto"?
(Il filippino della Pivetti)
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INIZIATIVA DEL ROTARY AD AGOSTO
Lisbona cerca giovani liberali
Il fado e Amalia Rodriguez, le stradine di "Lisboa antigua" e le alte coste a strapiombo dell’Oceano. Macché, gli studenti liberali che aderiranno a questo invito per un soggiorno e un corso di lingua portoghese (entrambi gratuiti), lo faranno con una machiavellica riserva mentale: utilizzare poi le nuove conoscenze linguistiche per rimorchiare (cuccare, dragare), secondo i casi, o ragazze brasiliane o ragazzi portoghesi. Nessun problema. Non avevamo detto che noi liberali siamo per la felicità ora e su questa Terra? Grazie, quindi, all’amico liberale Enrico Morbelli che da presidente rotariano si è ricordato innanzitutto dei giovani liberali. Almeno non ruberanno l’argenteria, e all’estero si comporteranno educatamente tenendo alto il nome dell’Italia. L’offerta è ghiotta e la passiamo ai giovani sotto i 30 anni che ci leggono. Si tratta di una doppia proposta dei Rotary club di Roma e Lisbona. Il viaggio Roma-Lisbona-Roma è pagato dal Rotary Club Roma Sud Ovest, mentre il soggiorno di studio di un mese è offerto dal Rotary Club Lisboa Benfica. Un’occasione d’oro per i giovani liberali che intendano studiare il portoghese e conoscere anche Lisbona e il Portogallo. Per aderire inviare un curriculum entro il 15 maggio al Presidente del Rotary Club
enricomorbelli@caltanet.it Sarà favorito chi ha già un’infarinatura di portoghese. Per ulteriori informazioni: 06.3340196, segreteria del Rotary Club Roma Sud Ovest. E, mi raccomando ragazzi, non dimenticate di ringraziare. (Sciura Egle di Porta Tosa)

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