30 novembre, 2005

 

34. Newsletter del 15 marzo 2006

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Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA DEL SALOTTO VOLTAIRE
RIVISTA LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME

Lettera n.34 -15 marzo 2006
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
Salon Voltaire si è spostato su http://salon-voltaire.blogspot.com/
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Questo numero contiene:
SALON VOLTAIRE SI SPOSTA. Sul sito: lo "vogliono" i lettori
BERLUSCONI-PRODI IN TV. Che noia, senza progetti liberali
MANIFESTO DEI LIBERALI. Contro l’irrazionalità. Fuori e dentro casa
IL NOSTRO ANTI-ENDORSEMENT. Fare critica, ma senza parteggiare
FRANCIA ANTISEMITA. Cane morde padrone: islamici uccidono ebreo
IL SAN DANIELE CHE CI PIACE. Agenda Capezzone: abolire gli Ordini
COMMERCIO E PROFESSIONI. Scarpa: "C’è poco nei due programmi"
MIMOSE CORPORATIVE. Se la giornalista non offre mazzi di fiori…
LE LISTE E LE PROTESTE. Liberali: chi è causa del suo mal…
DESTRA E SINISTRA ANTI-LIBERALI. Non per odio, ma per paura
QUANDO UN GIORNALE SI SCHIERA. E se fosse troppo tardi?
SCONTRO DI CIVILTA’. Ma la Chiesa scegliesse l’Oriente?
CORANO E VANGELO ALLEATI. Basta con le religioni a scuola
CANDIDATI POCO CANDIDI. Luxuria meglio di Mastella?
EUROPA BLOCCATA. Della Vedova: la Francia contro il mercato
"FATTORE C" COME UNA VITAMINA. Fa bene al malato o al farmacista?
NUOVI EGOISTI ED ENERGIA. "Ovunque, ma non vicino a casa mia"
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"SALON VOLTAIRE" CAMBIA DOPO 2 ANNI
Ci spostiamo sul sito-blog: lo "vogliono" i lettori
La newsletter Salon Voltaire ebbe origine 2 anni fa, nel gennaio 2004, per mettere a disposizione di circa 3000 intellettuali e attivisti liberali, qualunque fosse la loro provenienza e collocazione partitica, un appuntamento bipartisan quindicinale con lo spirito critico, talvolta con la satira, in ogni caso col commento liberale sulla politica, l’attualità e il costume. Troppo insistenti, ormai, e troppo pervasive – dicevamo allora e ripetiamo oggi – le tentazioni illiberali, stataliste, fondamentaliste e clericali nella maggioranza e nell’opposizione, dentro e fuori dell’Italia, in Oriente e in Occidente, nel Sud e nel Nord del mondo.
Per ben 2 anni ci siamo impegnati eroicamente a offrirvi di prima mano 15-20 articoli ogni 15 giorni, scritti apposta per voi, non copiati dai giornali, tantomeno ricorrendo ai soliti collegamenti a pagine internet, come fanno tutti, anche i siti più noti e ricchi di abbonamenti. Grande successo, lettere entuasiaste. Piaceva, in particolare, oltre al taglio dissacrante anche una newsletter fondata sulla scrittura.
Ma il lavoro era diventato insostenibile, gli apporti davvero utili dei collaboratori sempre più rari. Perché in Italia, dove si legge poco e male, si scrive in modo accademico, pesante e burocratico, e la riscrittura (rewriting) è lunga e costosa, specialmente se bisogna condirla di verve, qualità non italiana. E, come se non bastasse, tutti gli articoli così laboriosamente composti erano gettati via 15 giorni dopo, per essere sostituiti da altri che duravano lo spazio d’un mattino nel computer dei destinatari. Uno spreco incredibile. Un lusso unico, di questi tempi.
Dedizione che non era suffragata neanche dagli abbonamenti. In 2 anni gli abbonati tra i lettori sono stati appena lo 0,1 per cento. Mentre le altre newsletter, fatte quasi unicamente col copia-incolla degli articoli di giornali, hanno alte tirature e molti abbonamenti.
Allora, poiché da liberali ci piace l’equiparazione tra acquirente e votante, ci siamo detti che l’eroismo della qualità non aveva trovato un riscontro nel "mercato", sia pure di nicchia, cioè nella razionalità liberale, e che in fondo quello 0,1 per cento di persone tanto entusiaste da inviare un contributo, valeva – nonostante le centinaia di email di lode – come un vero e proprio voto negativo.
E quindi dalla fine del 2005 il Salon Voltaire si è spostato sul web, in un sito-blog con lo stesso nome http://salon-voltaire.blogspot.com, che può essere salvato tra i siti preferiti, e al quale chiunque può inviare commenti, critiche, complimenti, suggerimenti e aggiunte. Così si torna al salotto delle origini, quando il Salon Voltaire era davvero un "giornale parlato" (da cui il sottotitolo). Qui le notizie e il dibattito delle idee sono commentati ogni giorno, e i liberali hanno una tribuna per trovarsi e discutere. Un sito dignitoso, d’una eleganza semplice e un po’ austera, come piace ai liberali, ma non trasandato o caotico come i soliti forum. E anziché battute o frasette, e dialoghetti futili, come nei forum, qui continuano ad esserci veri articoli. Questa soluzione ci fa respirare, se non altro perché i vecchi articoli non sono gettati via, come nella newsletter, ma sono sempre disponibili (ora sono già 130).
E la newsletter chiude? No, continua, non più come quindicinale ma come mensile, con la riproposizione dei più attuali articoli del sito, oltre a poche aggiunte. Così ci leggeranno i tanti liberali che leggono solo la posta ma non amano andare sul sito. Certo, alcuni articoli-saggio (pensiamo a quelli su Wojtyla e Ratzinger) non ci saranno più, così come certe cose molto raffinate e brillanti. Ma se l’eccellenza è troppo costosa, il livello sarà sempre buono e la scrittura curata. Un’altra differenza rispetto alla newsletter è che il sito ora è aperto a tutti. E spesso alcuni articoli sono bersagliati dai commenti critici di utenti conservatori o clericali della catena del blog Tocque-ville. Ma i commenti non appaiono subito, a meno che uno non vada ad aprirli. E si può sempre rispondere.
Grazie a tutti, e continuate a leggerci sul sito http://salon-voltaire.blogspot.com. (François Marie Arouet, prof di francese a Ceccano)
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DOPO IL CONFRONTO IN TV TRA BERLUSCONI E PRODI
Che noia, senza grandi progetti liberali
Chi ha vinto, chi ha perso? Be', intanto è chiaro che hanno perso i giornalisti. Mosci, sottotono, perfino incerti e impacciati. Chiunque avrebbe fatto meglio. Domande fiacche, banali, pronunciate perfino male. Un disastro. Quando era invece ovvio che in un incontro così rigidamente regolato e quindi prevedibilmente noioso, alla stampa sarebbe spettato il compito di rianimarlo con domande pungenti, capaci di dividere, non di unire, i due contendenti. E poi le risposte: prevedibili. Nessuno sprazzo di creatività, nessuna progettualità avanzata, liberale. Tutta economia, niente economia. Nessuno dei due candidati ha sollevato i tanti temi di riforme liberali, qualificandoli come tali. Uno spettatore che non conoscesse Berlusconi e Prodi avrebbe l'impressione che veramente tanto è stato fatto (Berlusconi), e che davvero tanto sarà fatto (Prodi). Ma è mancato il cambio di marcia, lo scatto risolutivo in avanti, quell'idealità liberale che è tipica dei grandi uomini di Stato occidentali. Sembravano non due ragionieri al bar, ma diciamo due consiglieri rivali casualmente vicini di tavolo dopo una riunione del Consiglio di amministrazione che li ha visti litigare. E pensare che uno dei due, sicuramente, ci governerà - a Bertinotti e Bossi piacendo - per altri cinque anni... (La badante russa di Cossiga)
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MANIFESTO DEI LIBERALI (IN TEMPI DI CRISI…)
Contro i fanatici per la ragione. Cioè le libertà
Siamo lontani dalle pazzie del mondo orientale, eppure il terrorismo ci tocca da vicino. E un po’ dell’anti-liberalismo e del fanatismo che si respira nel mondo è presente anche in Italia e in Europa.
Mentre le basi stesse del liberalismo, libertà delle idee (compresa la satira), libertà economica e concorrenza, Stato minimo (nella misura in cui serve per le libertà), giustizia neutrale, nuovi diritti, separazione tra Stato e Chiesa, uguaglianza delle fedi davanti alla legge, sono contestate da statalisti neomarxisti e no-global di sinistra o da statalisti protezionisti e neo-clericali di destra, è ripresa la tentazione – forse per il cattivo esempio dell’Islam – di imporre i precetti di fede come leggi, i peccati come reati, i simboli come arredi pubblici obbligatori. Confermano questa tendenza i limiti alla ricerca medica e alla libertà di terapia, e il rifiuto di eliminare i finanziamenti di Stato dell’Otto per mille e quelli alla scuola "pubblica" della Chiesa.
E intanto l’antisemitismo riprende vigore, e ancor oggi gli ebrei devono difendersi. Ma stavolta con tanti e forti amici accanto. E l’ignoranza, l’irrazionalità, generano tra giovani, impiegati, popoli del Terzo Mondo, le più assurde leggende metropolitane. E ancora, la diffidenza pre-capitalistica per l’industria, la scienza, la tecnologia e le nuove fonti energetiche, sia dei finti ecologisti di sinistra, sia dei tradizionalisti di destra. E i residui di comunismo o fascismo, che sconfitti con vergogna dalla Storia, ancora sopravvivono negli animi, nei modi di vita, talvolta nelle rivendicazioni politiche.
Il liberalismo è attaccato da ogni lato, ma questo è normale visto che si nutre della lotta. Ed è perciò ancora tutto da costruire o rafforzare. L’Italia, l’Europa, l'Oriente e il Sud del Mondo, hanno, mai come oggi, bisogno del liberalismo. Ma la novità è che in Occidente tanti hanno imparato a definirsi "liberali", o per non esser criticati come conservatori, o per confondere nell’indifferenza generale la propria viltà, la propria mediocrità di moderati dell’intelligenza. Non sanno, però, che il liberalismo è una "ideologia" forte, e così si tradiscono. Perché la libertà, cioè la razionalità, è il valore supremo della vita, il solo per cui conviene combattere. Ma, come nel Risorgimento e nell’antica Roma, vuole gente forte e coraggiosa. Solo chi ama davvero la libertà è disposto a combattere per conservarla o conquistarla. (Camillo Benso di Latour)
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"CONTRO-ENDORSEMENT" PER LE ELEZIONI
Fare critica (e "politica"), ma senza parteggiare
Non per polemica col Corriere, che si è schierato. Ma è che il Salon Voltaire – sia il sito che la newsletter – ha un una platea di lettura diversa, che non vogliamo ingannare. Esiste un impegno non scritto con i 3000 destinatari (un target liberale e laico di prestigio, fatto di docenti universitari, organizzatori di cultura, direttori di testate, giornalisti, attivisti liberali ecc.), quello di fare da piccolo "osservatorio liberale", da salotto di commenti e di critica liberale sui fatti dell’attualità, il costume, la politica, l’economia, la scienza., e nel modo più obiettivo e neutrale possibile, così da rispettare anche le diverse anime e sfumature del liberalismo.
E ora che siamo in campagna elettorale, nonostante le sollecitazioni più insistenti, intendiamo uniformarci eroicamente a quel principio. Nessuna scelta partitica o di schieramento. Critichiamo tutti e non parteggiamo per nessuno. Per correttezza verso la nostra e vostra intelligenza, verso i destinatari che gradiscono la newsletter (e infatti inviano complimenti, più che abbonamenti) proprio perché non fa propaganda elettorale, rifugge dalle fazioni e fustiga tutti, spesso in modo feroce, anche i liberali. E soprattutto perché crediamo che il liberalismo sia "anche" una scelta pre-partitica che ci aiuta a riflettere sui diritti di libertà e la razionalità, e a lottare duramente – ma col sorriso o l’ironia sulle labbra – contro ogni fanatismo, fondamentalismo, superstizione e intolleranza, fuori e dentro l’Italia.
Mettiamo in evidenza errori e scelte illiberali (e le rare liberali) di Destra e Sinistra. Dopodiché saranno i nostri lettori, tutta gente non solo adulta, ma spesso fior di intellettuali dalla forte personalità, a decidere con la propria testa. Ridicolo sarebbe che pretendessimo di suggerire a persone del genere, alcuni dei quali sono anche commentatori politici, come e chi votare. D’altra parte, non ci nascondiamo che la newsletter è stata finora gradita, accettata, o solo tollerata, proprio perché è per alcuni un aggiornamento "di servizio", per altri un intrattenimento culturale intelligente. Non certo mezzo di propaganda. Che oltretutto, a rigore, sarebbe vietato dalle norme sulla posta elettronica come "spam".
Ma anche se volessimo, confessiamo, non sapremmo per chi parteggiare, tanto carenti di liberalismo sono oggi – per motivi diversi – i partiti in Italia, e quindi le loro coalizioni.
Da una parte ci si fa belli con l’aggettivo "liberale", che oggi è di moda (ma che può nascondere un generico moderatismo senza idee, e perfino un conservatorismo un po’ ottuso), e si ostentano come gardenia all’occhiello alcuni veri liberali, silenti e del tutto emarginati, ostaggi d’una politica poco o nulla liberale, e talvolta addirittura clericale. Altro che "Partito liberale di massa", piuttosto una pessima copia della Democrazia cristiana della decadenza.
Dall’altra parte, nonostante il rivitalizzante arrivo d’una formazione liberal-socialista e laica che sta facendo scattare varie contraddizioni interne, ma che non incide sul programma generale, si ignora sia il nome che la politica liberale, si convive con ben due partiti comunisti, con almeno altri due partiti illiberali, e con una base diffusa di movimenti reazionari, no-global e giustizialisti. Eppure, anche lì ci sono tre o quattro liberali veri, emarginati, quasi degli ostaggi.
Con tutto ciò, dalle poche e quasi clandestine, liste liberali, a Destra e Sinistra, è partita la caccia ai candidati credibili da mettere in lista. A noi, per esempio, sono arrivate ben quattro proposte di candidatura, da amici seri, autenticamente liberali, di entrambi i poli. Ma senza prospettive di poter incidere minimamente, almeno sui programmi, abbiamo dovuto dire di no a tutti.
Elezioni che, comunque vadano, non vedranno vincitori liberali, né politiche liberali, anche se qualcosa saranno costretti a fare dall’Unione Europea e dal mercato. Così, noi cultori del "liberalismo fino in fondo e in tutti i campi" voteremo ancora una volta malvolentieri e turandoci il naso, tra tanti che si dicono liberali solo perché non hanno idee ("moderati dell'intelligenza") o si vergognano di dirsi conservatori, statalisti, reazionari, clericali o neo-marxisti. E anche questa volta, diceva Eduardo De Filippo, "ha da passa’ ‘a nuttata", cioè la campagna elettorale. E che l’alba, con l’obiettivo lontano del 2011, possa vedere almeno i primi passi degli Stati generali del liberalismo. (Il cantiniere astemio Bottino Ricasoli)
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FRANCIA ANTISEMITA, EUROPA MOLLE E STAMPA
"Cane morde padrone". Ucciso un ebreo a Parigi
Non è questa la "libertà" che vogliamo in Europa, dove scorazzano impunemente criminali islamici e lobbisti palestinesi. L’Europa, a forza di stare dalla parte degli estremisti dell’Islam, diventerà come l’Islam? Dopo la vergognosa decisione della UE di approvare la proposta della commissaria Ferrero Waldner di finanziare con la bellezza di 120 milioni di euro i terroristi di Hamas oggi al potere in Palestina, contro le preghiere di Israele e i consigli di molti opinionisti liberali, ecco che sono ripresi i delitti a sfondo razziale in Francia, terra elettiva per questo genere di cronache.
Riceviamo dall’Associazione romana Amici di Israele, una notizia inquietante che ormai è quasi una non-notizia. Ilan Halimi, un commesso francese di 23 anni, è stato sequestrato, torturato per tre settimane e abbandonato nei pressi di una stazione ferroviaria nudo e morente, con ferite, segni di bruciatura ed ematomi in tutto il corpo. Alla famiglia, non in grado di pagare il riscatto chiesto, i rapitori hanno detto "se non potete pagare rivolgetevi alla sinagoga". Sì, Ilan è stato barbaramente torturato e ucciso perché ebreo. Il suo omicidio è avvenuto in Francia per mano di una banda criminale di giovani islamici. Eppure la sua morte non ha meritato espressioni indignate da parte di esponenti politici italiani, abituati a protestare se gli infiltrati islamici sono un po’ troppo stretti nei Centri di accoglienza di Lampedusa, né ha urtato la sensibilità di coloro i quali sono sempre pronti a dichiararsi per il dialogo, la tolleranza, la convivenza civile. L’uccisione di Ilan è passata nel silenzio e nell’indifferenza. Brutto segno: vuol dire che ci stiamo abituando a delitti del genere, ormai derubricati sui giornali in "brevi di cronaca". Tra poco sarà una non-notizia: "cane morde padrone". (Il figlio barbone dei Rotschild)
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SAN DANIELE. LE MISURE LIBERALI PER I PRIMI 100 GIORNI
Agenda Capezzone: abolire gli ordini professionali
Eravamo studenti universitari, al primo anno, e da bravi liberalini della GLI e dell’AGI già scandalizzavamo i nostri compagni d’università cattolici o comunisti con la proposta einaudiana dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Una battaglia ancora difficile da vincere, ma oggi forse con qualche speranza in più, visto che dall’Unione Europea ai nuovi economisti alla Giavazzi, comincia finalmente ad esserci una corrente favorevole. E bravo, bravissimo (come vedete il Salon Voltaire non dice sempre di no…), il segretario dei Radicali, nostro beniamino, che come sempre dice cose tipicamente liberali. "Bisogna abolire gli ordini professionali e il valore legale del titolo di studio. Sono queste le misure che proporremo nei primi cento giorni, se dovessimo vincere le elezioni". Ad affermarlo è Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani, in un'intervista al giornale "Professionisti". "La medicina e la salute non appartengono nè ai medici, né agli infermieri né ai farmacisti; l'Università non appartiene ai professori e neanche agli studenti occupanti; l'informazione non appartiene né all’Ordine dei giornalisti nè alla lobby degli edicolanti; il trasporto e la mobilità non appartengono ai tassisti; il mercato degli scambi e delle compravendite non appartiene ai notai. Non riforma, quindi, degli ordini, ma loro abolizione "tout court", e passaggio allo schema anglosassone delle associazioni di professionisti". Il Secolo d’Italia commenta: "Posizioni, queste, che provocano altri imbarazzi nell'Unione. A cominciare da Paolo Serventi Longhi.". Sì, ma, perché non parla anche dei mal di pancia propri, cioè della riluttanza finora dimostrata da AN ad abolire gli Ordini, a liberalizzare le professioni e, per far questo, a ridurre il peso e i veti delle corporazioni professionali, che invece il Secolo coccola a scopo elettorale? Meno male che c’è San Daniele. Con l’osso. E’ questo il solo che preferisce, da vegetariano, l’estensore di questa nota. Quello noto, ricordiamo, era troppo dolce. Questo, invece, ci sembra perfetto. (La suocera del direttore Albertini)
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L’ECONOMISTA SCARPA FA LE PULCI AI DUE PROGRAMMI
Commercio e professioni: c’è poco a Destra e Sinistra
Il mastodontico programma dell’Unione è un pozzo senza fondo, peraltro generico e vago, mentre quello della Casa delle libertà è forse troppo breve e schematico, diventando in alcuni punti sibillino o reticente. L’economista Carlo Scarpa nell’interessante e quasi sempre (almeno per noi) condivisibile sito www.lavoce.info, va a confrontare come sono state trattate alcune voci, come le liberalizzazioni, i servizi di rete e le riforme del commercio e delle professioni.
Sulla riforma del commercio il programma dell’Unione "resta abbastanza nel vago, affermando la necessità di aumentare la concorrenza, favorire la grande distribuzione nazionale, ma valorizzando anche i piccoli esercizi, la cui funzione sociale è riconosciuta. Come si debba realizzare questo equilibrio non è per altro chiaro. Il tema della distribuzione commerciale non è mai menzionato nel programma della Casa delle libertà.
"Al momento la riforma promossa dal governo del centrosinistra nel 1998 sta funzionando a metà – prosegue Scarpa – per il potere di Comuni e Regioni che spesso rallentano l’apertura del mercato. Gli orari sono ancora sottoposti a regole, le aperture di grandi centri commerciali richiedono autorizzazioni non di solo tipo urbanistico, ma di vera programmazione del settore, il tipo di merci che possono essere vendute è tuttora limitata (i supermercati non possono vendere benzina e medicinali da banco).
Sulla riforma delle professioni la Casa delle libertà dice semplicemente "3. Nuova legge sulle professioni". Trovo personalmente irritante che si indichi che questo è il punto di un programma, se non si dice almeno a quali principi generali la legge dovrebbe ispirarsi. Soprattutto perché anche quattro anni fa la CdL aveva dichiarato di volere intervenire sul settore, mentre non ha fatto nulla. Anche su questo tema non traspare alcunché. Peccato. L’Unione dedica a questo punto due pagine (130-132). Parte dalla dichiarazione che "i servizi professionali sono protetti da norme che senza giustificazioni (…) limitano la concorrenza" per poi affermare che diversi aspetti dovrebbero essere liberalizzati, in particolare "prezzi, pubblicità e modelli aziendali". Questo porta l’Unione a proporre l’eliminazione dei prezzi minimi, ma non per le "attività riservate" – curioso, visto che i professionisti hanno già il diritto esclusivo di effettuare quelle attività senza concorrenza da parte di altri soggetti – l’eliminazione del divieto di pubblicità. Anche l’introduzione di società tra professionisti è favorita, ma solo per servizi "multidisciplinari e interprofessionali". Ovvero, liberalizzazione sì, ma non esageriamo…" Insomma, conclude ironicamente Scarpa, "Il voto dei professionisti sembra interessare entrambi gli schieramenti". (Il cancelliere assunto in prova Zanardelli)
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MIMOSE CORPORATIVE E LIBERALIZZAZIONI
Se il giornalista del Corriere offrisse mazzi di fiori…
"Agenda Giavazzi" di qua", "Liberalizzazioni" di là, si vede lontano un miglio che i giornalisti del Corriere usano il taxi, vanno in farmacia e dal notaio. Ma non regalano fiori. Perfino le donne. Usanza ottocentesca? Non è questo il punto. E’ che, va bene blaterare in prima pagina contro l’Italia delle corporazioni (dai tassisti ai giornalisti, dalle farmacie ai notai, dalle banche alle assicurazioni), ma che Mieli dia una guardatina ogni tanto alla sua Cronaca di Roma. Perché è dalle piccole cose che si vede la coerenza d’un giornale.
Alcuni vigili urbani di Roma sono stati sottratti al traffico e ad altri compiti che già svolgono male ("Né vigili, né urbani", si usa dire) e mandati al servizio della corporazione privata di commercianti di fiori, per fare in divisa e alcuni con la pistola il lavoro che quella non sa fare da sola con mezzi liberali (costi, prezzi e organizzazione), cioè difendersi dalla concorrenza dei fiori a basso costo degli ambulanti. – riporta senza il minimo commento, come se fosse una giornalista della Cronaca romana del Corriere – "Commercio abusivo"? Ma in un sistema economico liberale non esiste questa categoria. Tutti possono commerciare. Il commercio è libero, come ogni iniziativa privata (Costituzione). E chiunque in poche ore o giorni dovrebbe potersi iscrivere come commerciante per qualunque merce, come in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Se glielo si vieta, certo che diventa "abusivo". Questo è il liberalismo. Il resto è fascismo o comunismo. Se ci sono furti o evasione fiscale, li si colpiscano. Ma è uno scandalo che le "7 polizie italiche 7" perdano tempo e soldi per intromettersi nel gioco del mercato facendo gli interessi dei alcuni monopolisti o produttori, a danno dei consumatori che godono della concorrenza e dei prezzi più bassi. Ricevono, almeno, cospicui finanziamenti dalle corporazioni in cambio di questo illegittimo servizio privato? No? E' poco credibile, ma allora io da domani chiamo i vigili o i finanzieri a pulirmi il giardino: è esattamente la stessa cosa. Ecco perché tutti in Italia si definiscono "liberali": non sanno che vuol dire. (Minghetti Marco, senza fissa dimora)
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SBAGLIATE LE CRITICHE A DESTRA E SINISTRA PER LE LISTE
Liberali: "chi è causa del suo mal…"
I nostri amici liberali, di ogni tendenza, partito e schieramento, oggi si lamentano e gridano al tradimento e all’incomprensione. "Ah, in che Italia illiberale viviamo – dicono – che razza di mascalzoni politici che abbiamo. Ci hanno boicottato, non hanno rispettato i patti, non hanno voluto inserire liste liberali e neanche candidati liberali né a Destra né a Sinistra". Ma i nostri amici sbagliano, e di grosso.
La politica non è la Congregazione delle Dame di S.Vincenzo, in cui è buona norma fare "opere di bene". Può piacere o no, ma da che mondo è mondo la politica segue le leggi filosofiche della "utilità", e per questo tiene conto, proprio come l’arte militare, delle "forze" reali in campo, oltre che della psicologia dei capi. Uno stratega, un generale, secondo voi metterebbe in prima linea un battaglione di brocchi, di poche reclute mal equipaggiate e alla prima uscita, solo perché il suo comandante è un nobile d’alto lignaggio con un passato glorioso? No, quello che conta è l’oggi, l’organizzazione, l’abilità di trovare, indottrinare e addestrare i soldati, e poi la capacità effettiva di combattere con qualche probabilità di vincere.
Ebbene, i liberali, anche quelli delle sigle o dei nomi più gloriosi, dal PLI nel Centro-destra al gruppo di Zanone nel Centro-sinistra, si sono finora cullati nel culto delle memorie, nella nostalgia più struggente ma inconcludente dei tempi lontani in cui erano "prestigiosi, potenti e famosi". Ma, nonostante che molti di noi – per esempio, chi scrive, addirittura dal Consiglio nazionale del PLI – li abbiano più volte benevolmente strigliati perché passassero dalla sterile nostalgia all’azione, alla politica vera, nulla, assolutamente nulla hanno fatto nel decennio che ci separa dal fatidico 1993-1994, la stagione che vide la crisi della Prima Repubblica.
Né uno straccio di riunificazione, né rilanci operativi, né un po’ di propaganda spicciola tra le nuove generazioni, né addirittura quell’approfondimento teorico – convegni, grandi congressi – che serve in mancanza d’altro, insieme con la polemica politica quotidiana (perfino questa assente), almeno a far sentire ai giornali, alla tv, agli intellettuali dell’area liberale, e al largo pubblico che segue i mass media, che un soggetto politico liberale esiste ancora, respira. Nulla, lo zero assoluto. Quando, invece, i cugini radicali, naturale pietra di paragone per i liberali, pur nell’analoga modestia di forze e di mezzi, dimostravano ogni giorno non solo di essere in vita, ma di poter influire sulla vita politica italiana, imponendo addirittura temi di discussione.
Tutte carenze che, come le vediamo noi, le vedono anche i responsabili delle coalizioni di Destra e di Sinistra. Hanno capito subito che questi liberali super-individualisti e nostalgici, schizzinosi e snob, inadatti alla vita politica pratica, però frazionisti e uno contro l’altro (un esempio tra mille: il PLI quasi non esiste, ma in Sicilia qualcuno ha fondato il Nuovo PLI), che non sanno fare propaganda tra la gente, tra i giovani, le nuove coppie, le casalinghe, i pensionati, e tra gli stessi intellettuali liberali, incapaci di farsi capire perfino dai giornalisti con uno straccio di evento o di comunicato fatto bene, non avrebbero portato un solo voto tranne il proprio. E hanno visto giustamente le pressioni degli esponenti liberali per entrare nelle coalizioni solo un mezzo per mettere al sicuro la propria carriera professionale.
I liberali, perciò, anziché lamentarsi dei politici avversari, se la prendano con se stessi, con le invidie personali, col rifiuto di azzerare tutte le sigle e di creare, per esempio, una grande Assemblea costituente di tutti i Liberali italiani (basta col nome "partito") che miri almeno al 10-15 per cento alle elezioni del 2011. Se la prendano col proprio individualismo sfrenato, col frazionismo maniacale e asociale, con quel famigerato narcisismo aristocratico grazie al quale è nato in casa liberale il detto autoironico (sì, perché i liberali sono dei gran signori dotati di humour) per cui "ogni liberale è un partito a sé". Ma se la prendano anche con i propri leader, che saranno pure veri liberali, ma si sono dimostrati da dieci anni in qua del tutto inadatti all’organizzazione di partito, alla lotta politica, perfino a creare dei banali uffici stampa. Che vogliono fare da soli, ma non sanno fare nulla, e quindi non fanno. E si sbrighino, anche, perché quel 30 per cento buono di liberali potenziali che l’Italia, come grande nazione dell’Occidente, bene o male dovrebbe avere, e che ora sono sparsi tra dieci partiti, rischiano di dimenticare o di ignorare per sempre l’esistenza d’una casa madre. Insomma, altro che nemici: sono i liberali italiani i peggiori nemici di se stessi. (Jefferson Tomaso, fu Anita)
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LE VERE MOTIVAZIONI DELLA CHIUSURA A DESTRA E SINISTRA
Non per odio, ma per paura
Todos caballeros. Tutti "liberali. Sì, per presa in giro. Il Parlamento italiano avrà nella prossima legislatura ancora meno liberali, se possibile, che in passato. Hanno posto il veto l’ottusa Destra illiberale e la conservatrice Sinistra anti-liberale. I liberali fanno paura, proprio perché paradossalmente sono tanti (oltre il 30 per cento degli Italiani), vincenti in tutto il mondo, razionali e perciò poco inclini ad ascoltare le balle della propaganda, e presenti nella base di molti partiti, soprattutto tra gli scontenti e gli incerti. E con la loro sola presenza sarebbero stati un’insopportabile "pietra di paragone", avrebbero dimostrato che gli avventurieri che si fanno belli d’una "bella parola" (così viene considerata nell’ignorante Italia, senza sapere che ha in sé elementi d’una severità assai poco italiana…) sono degli impostori, dei ladri di identità, che si vergognano di definirsi quello che sono: conservatori e clericali di Destra o di Sinistra. Ammetterli avrebbe significato ammettere che il partito X o la coalizione Y "non è" liberale. E questo, oggi che tutti per pubblicità menzognera si definiscono furbamente "liberali", sarebbe stato un suicidio di marketing politico.
Che vi diceva il buon Salon Voltaire da due anni, unico e inascoltato? Alla fine, come si prevedeva, i liberali sono stati gabbati soprattutto dal Centro-destra, e anche dal Centro-sinistra. Fin dalla presentazione delle candidature alle politiche. Liste liberali non ci sono, ad eccezione della componente radicale della Rosa nel pugno a sinistra e del virtuale PLI a far da testimone non schierato in poche circoscrizioni (Lombardia, solo Senato, in Campania 1 (Napoli), in Puglia e in Sicilia. Il Centro-destra aveva promesso mari e monti ai Riformatori liberali (Radicali liberali) per poi umiliarli con un’amara beffa che grida vendetta: quasi nulla la raccolta di firme dai finti "amici" di FI, e solo un seggio sicuro, quello di Della Vedova, ma dentro FI. Il bravissimo Calderisi, uno dei maggiori esperti in Italia di sistemi elettorali, quasi sicuramente fuori. I bravi Taradash e Palma sono fuori. Una perdita secca per i liberali. E se ne sono sinceramente dispiaciuti anche i fratelli separati dei radicali nella Rosa nel pugno: vedi l’editoriale su Notizie radicali di Vecellio, che parla di "inquietante involuzione conservatrice e clericale" della cosiddetta Casa delle libertà.
A questo si aggiunge la ben nota ingenuità e debolezza contrattuale dei liberali, poco abituati ormai al potere, individualisti estremi, che amano presentarsi da soli alle trattative e agire uno contro (o senza) l’altro. E ben gli sta, dunque. Un esempio di dabbenaggine? Nel Centro-destra, il segretario del PLI, De Luca, che fa un accordo con FI per una lista liberale, e che poi all’ultimo si ritrova escluso a tradimento, quando è troppo tardi per candidarsi in altre liste. Una beffa che sa di schiaffo. Ma un avvocato – chiosa il perfido liberale Morelli – avrebbe dovuto cautelarsi, almeno con un contratto scritto e addirittura una penale?
E nel Centro-sinistra? A parte il capolavoro dei cugini Radicali, reso possibile però dal cavallo di Troia dei socialisti SDI, il deserto. Con l’aggravante che neanche ci sono i candidati ex liberali e ora integrati e acquiescenti al nuovo sistema di potere, come Biondi e Martino. Il liberale Morelli e altri amici hanno proposto una lista liberale autonoma, che non sarebbe stata ostacolata da Fassino e dai Ds. Macché, la Margherita di Rutelli e Parisi ha posto il veto. Il vecchio liberale Zanone, così, viene messo in lista non come "liberale" ma come un notabile qualunque. E i riformisti liberali Ds (Morando, Debenedetti) bocciati in blocco, tanto che Turci si è dovuto salvare come candidato nella RnP.
Noi, da liberali veri, non ci stracciamo troppo le vesti (solo uno strappetto sulla manica, diciamo…), né per questo cambiamo idea sui due poli, con ridicole frasi roboanti, melodrammatiche – ecco il viziaccio degli Italiani, specie al Sud: il Gran Teatro – come se fosse la "fine del mondo". Cinismo? No, immaginavamo già come sarebbero andate le cose, avendo visto fin dal ’94 come funzionava il coordinamento dei club di FI. Capimmo tutto al volo: era tutto finto, e nulla e nessuno era liberale. E pensare che FI era il meglio del Centro-destra, figuratevi An e Cdu.
E poi, siamo psicologi "realisti", ma portiamo la proiezione logica alle estreme conseguenze. Seguiteci nel ragionamento. Col liberalismo che in teoria ha vinto dappertutto, con l’Italia bene o male ottavo paese dell’Occidente, i liberali – se ci fossero liste liberali, elezioni libere, e fondate su precise scelte di programma – potrebbero prendere almeno il 30 o 40 per cento dei voti, no? E allora, che ne sarebbe dei partiti elettoralistici, né carne né pesce, come Margherita, Forza Italia, Mastella, Di Pietro, An, Ds, Ulivi, Unioni, Case e Casini delle libertà? Secondo una proiezione virtuosa ma logica, se la gente fosse portata a votare "in base alle idee e ai programmi" reali, come nel Regno Unito o negli Stati Uniti, tutto questo schieramento fittizio finirebbe per essere spazzato via.
Resterebbero solo una grande lista, diciamo, di Liberali italiani (dal Centro-destra al Centro-sinistra), più i Cattolici uniti (con analoga estensione), una piccola Destra conservatrice e una piccola Sinistra neo-marxista. Stop. Solo quattro partiti veri. Al massimo, finché il sistema virtuoso non andasse a pieno regime, resterebbero come residui due liste né-carne-né-pesce di destra e sinistra (resti di FI e Ds), ma dovrebbero tendere a scomparire. Ma questo sarebbe il diagramma logico e razionale in base alle idee vere, alle opzioni possibili, che offrirebbe l’Italia politica, se non ci fossero i "ladri di nomi", i politicanti imbroglioni all’italiana, quelli delle furbe vie di mezzo o delle liste nominali. Ma questo retro-pensiero terrorizza i nostri politici politicanti. Anti-liberali non per odio ideologico, ma per auto-difesa. (D'Azeglio, il minimo)
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UN GIORNALE SI SCHIERA E I LETTORI SI MERAVIGLIANO
Il vero scandalo è che è troppo tardi
Ma, scusate, il loro giornale lo leggevano davvero i lettori del Corriere? La meraviglia di una gran parte di loro per un articolo di fondo, ci meraviglia assai. Noi lo leggiamo da tempo immemorabile, e la naturale evoluzione della direzione di Mieli ci ha incuriosito, sì, ma non ci ha turbato più di tanto. Come i maggiori giornali anglosassoni fanno per tradizione, il Corriere in un articolo di Mieli ha avvertito con onestà calvinista che rispetto alla campagna elettorale in corso punterà su un cavallo. Ma era un segreto di Pulcinella. Mieli "rivela" ciò che tutti i lettori già sapevano o avrebbero dovuto sapere: parteggia per l’Unione. Del resto, anche quando era "terzista", sia pure criticamente, era per la Sinistra.
E non è neanche una notizia che lo stesso Mieli si insinui perfino all’interno degli schieramenti privilegiando a Sinistra i Radicali – giustissimo – e poi la Margherita, Fassino (senza i Ds?) e Bertinotti, cioè quasi tutti, e a Destra An e Ccd. Incuriosisce, piuttosto, in uno come Mieli, il doppio errore di definire la Margherita, spesso clericale e conservatrice, "moderno partito liberaldemocratico" (mentre su Ccd e An non specifica: anche loro "moderni partiti…"?), e di dare credito a Bertinotti, improvvisamente "non violento" e "gandhiano", forse perché – soffiano le malelingue – plagiato filosoficamente dal redivivo strizzacervelli Fagioli. Il tutto, però, senza considerare la base di Rifondazione, che è ancora quella che è.
I rigori, poi, sono fischiati in modo asimmetrico: contro un grosso partito e uno piccolo a Destra (FI e Lega) e solo contro piccole liste (Verdi, Cossutta, Mastella e Di Pietro) a Sinistra.
Insomma, analizzato politicamente, dopo quello sgrammaticato di Pera, ecco un altro "manifesto" un po’ caratteriale, carente e illogico, proprio come analisi. Davvero non ce lo saremmo aspettati da uno che passava per fine conoscitore di cose politiche.
Molti hanno protestato e non solo a Destra. Ma sbagliano, perché l’editoriale formalmente è legittimo. L’amico liberale Di Massimo, persona equilibrata e tendenzialmente bipartisan, ha scritto una lettera a Mieli in cui tra le tante cose giuste, esprime "totale dissenso per la presa di posizione". Perché? Perché pensa che "ai lettori del giornale interessino informazioni e opinioni varie e diverse, ma non "una presa di posizione, qualunque essa sia, in un Paese dove tutti tendono a schierarsi, ed i poteri neutri tendono a sparire". E giudica "linguaggio bizantino" la precisazione che malgrado ciò le notizie varranno date nel modo "quanto più possibile obiettivo e imparziale".
Ma la dichiarazione del Corriere, anche se noi italiani non vi siamo abituati, si iscrive nella corretta tradizione della stampa liberale anglosassone. Anzi, la cosa è nata nelle grandi democrazie liberali di massa – appunto per limitare il quasi ossimoro – come "caveat", come cautela e garanzia per i lettori più sprovveduti, marginali o disattenti, incapaci cioè di accorgersi che ogni giornale ha in realtà una linea politica, affinché prendano con le molle i commenti e facciano la tara alle notizie politiche di quel giornale. Insomma, non deve essere visto solo come un incitamento ai partiti della propria parte, ma soprattutto come un avvertimento ai lettori. In questo senso, sarebbe un bene, specialmente in Italia, con lo pseudo-analfabetismo e i tanti lettori marginali che abbiamo (chi scrive libri o articoli sa bene quanti equivoci sorgono, perfino tra i lettori laureati, all’interpretazione semantica anche degli scritti più chiari…), che tutti i giornali facessero outing del genere.
E poi c’è un’analogia con le avvertenze che i giornali inseriscono negli articoli (p.es. lo fa spesso Panorama) in caso di possibile conflitto d’interessi tra proprietà e obiettività: guardate che la Mondadori di cui stiamo parlando è di proprietà Mediaset, oppure il tale collaboratore è senatore di FI. Così non si ingannano con notizie tendenziose i lettori meno informati. Che in tal modo sanno già da che pulpito viene l’articolo.
Troviamo la cosa molto liberale. Ma sarebbe stato meglio fare l’endorsement tre o quattro mesi prima delle elezioni, non 30 giorni prima. Se un difetto, quindi, ha l’editoriale di Mieli, è che è troppo tardivo. (L'autista cieco di Luigi Einaudi)
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SCONTRO DI CIVILTA’, NON DI RELIGIONI
E se la Chiesa scegliesse l’Oriente?
Nell’attuale cosiddetto "scontro di Civiltà" i contendenti non sono una religione contro l’altra. Ma solo il fanatismo assolutistico contro il razionalismo liberale. Ora è il momento di scegliere. Le frange più estremiste dell’Islam hanno già scelto da tempo, approfittando del lassismo e dell’anarchia dell’Islam. Anche i Cristiani protestanti hanno già scelto: il capitalismo e la sua ideologia di riferimento, il liberalismo. Che per attrarre e liberare i popoli schiavi del Terzo Mondo, e per fronteggiare qualsiasi pericolo, hanno tutto quello che serve: libertà individuale, tolleranza, modelli di vita moderna, sviluppo economico, tecnologia avanzata, diritto severo, forza militare bastante.
Ma i Cattolici, che faranno? Per il momento tergiversano. Non vogliono o non sanno ancora scegliere. Civiltà occidentale capitalistica o Islam fanatico? Come si schiererà la Chiesa? Questo, solo questo, è il dilemma. Non esiste una terza via, una via di fuga nello scontro in atto. Altro che appelli per un "Occidente cristiano". L’Occidente è liberale. Nel senso che questa è la sua caratteristica unica e differenziale. E dunque è il capitalismo-liberalismo, geniale invenzione vincente, la facies riconoscibile dell’Occidente. Quella contro cui, però, significativamente, si scagliano encicliche di Papi e sermoni di parroci che tuonano contro "consumismo", "egoismo individualistico", "edonismo", "dittatura del denaro", "capitalismo", "eccessiva libertà", se non addirittura "licenza colpevole". E dunque, chi difende davvero, e chi invece fa la fronda contro l’Occidente? Il liberalismo o il cattolicesimo? E voi, dite la verità, vi fareste difendere contro un nemico rozzo e determinato da chi fa la fronda, divide il capello in quattro, ed è pure disarmato? (Don Minzione, il prostatico)
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UNA GAFFE CONFERMA: VANGELO E CORANO ALLEATI
La soluzione c’è: basta con le religioni a scuola
"Voce dal sen fuggita…". Sta accadendo proprio quello che il Salon Voltaire aveva previsto. Altro che scudo all’Occidente, come vaneggiavano i fanatici cattolici, gli sgrammaticati Manifesti "a pera", e i falsissimi politici teocon, sempre più, in francese "teologi coglioni". La Chiesa è pronta, sùbito, a calare le brache e ad allearsi all’Islam, contro le libertà e l’Occidente. Vangelo e Corano uniti, come volevasi dimostrare. Perché sia per i cattolici fondamentalisti, sia per gli islamici, il nemico è lo stesso: la liberal-democrazia. Tra cani non si mordono, anzi, si alleano, e più uno morde l’ignaro passante, più l’altro si eccita all’odore del sangue e si avventa sui polpacci.
Esagerazioni laiciste? No, è quello che si può dedurre da una gaffe in cui è caduto un alto prelato. Non sarà magari proprio quello che papa Ratzinger vuole e che dirà domani, ma certo riflette il pensiero o retro-pensiero diffuso tra i "politici" delle gerarchie del Vaticano, papa o non papa.
"La Chiesa dà il via all'ora di religione islamica nelle scuole" hanno intitolato giornali e tv. Siamo ormai al ripristino del placet o dell'imprimatur pontificio. "Si comportano così perché la nostra classe politica ha paura di fare scelte e di prendere posizioni con forza contro il clericalismo" ha commentato in sintesi la Bonino a Radio radicale. In apparenza, il cardinale Martino aveva detto cose di buon senso. "Se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana, non vedo perché non si possa insegnare la loro religione. Questo è il rispetto dell'essere umano", ha detto il cardinale. "Se attendiamo la reciprocità nei Paesi rispettivi dove ci sono cristiani, allora ci dovremmo mettere sullo stesso piano di quelli che negano questa possibilità". "Ma l'Europa, l'Italia è arrivata a punti di democrazia e il rispetto dell'altro che non può fare marcia indietro. Se quindi ci sono persone di altra religione nella realtà italiana, bisogna rispettarle nella loro identità culturale e religiosa".
Detto così, a prima vista sembra tutto quasi giusto, molto democratico. Peccato che in carenza di smentite, cioè d'un vero potere dello Stato laico, la stampa ha giustamente interpretato queste dichiarazioni come il "permesso", anzi il "via" dei veri reggitori della cosa pubblica in Italia, cioè le autorità ecclesiastiche, ad un'ulteriore ora di religione, quella islamica. E poi, è sempre un cardinale a parlare, che non parla di questioni interne della Chiesa, ma di novità da istituire in casa d’altri. E’ lui che paga? Offre lui i locali per l’insegnamento? No, si riferisce a soldi e a locali pubblici pagati dagli Italiani: è qui la sua doppiezza e prepotenza. Facile e ipocrita fare i generosi col borsellino degli sconosciuti, quando non si pagano le tasse e già si prendono i soldi degli Italiani con l’indebito Otto per mille. Perché la Chiesa non istituisce dei corsi di islamismo? A sue spese, però. Vogliamo vedere le file di islamici che entrano dentro il Vaticano.
Grazie al cardinal Martino per essere uscito con questa sua provvidenziale boutade, detta con tono decisionista di chi è abituato a comandare a bacchetta in casa d’altri. Proprio mentre noi liberali e laici non ne possiamo più dell'insegnamento pubblico della religione, che esiste solo in Italia, arriva lui bel bello (psicologia, zero) a proporre "altre" ore di religione, per gli islamici. Certo, perché no, anche per buddisti, ebrei, protestanti, ortodossi, animisti, confuciani. E ateisti, no? Scherziamo? Se si insegna tutta questa religione – e diciamo sul serio – pretendiamo che si insegni anche l’ateismo. Siamo d'accordo con G.Cesare Vallocchia di No God. Se non altro come antidoto a tutto il carico di autoritarismo psicologico e sopraffazione fondato sul nulla che questo genere di insegnamenti porta con sé: "Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare", scriveva Dante. Spirito critico, addio. Davvero un buon percorso educativo per gli studenti del 2000. E poi ci si lamenta se i ragazzi a diciott'anni vengono fuori dalla scuola come babbioni senza idee.
Al cardinale così attento al rispetto dell’identità degli islamici (di quell’Islam che ammazza i preti cattolici), così masochisticamente altruista, a spese nostre, che sembra uscito dal santino in cui un S.Giorgio di oggi offre metà del suo mantello al nemico terrorista, anziché denunciarlo alla polizia, ricordiamo che prima dovrebbe chiedere il parere dei cittadini italiani, poi dovrebbe rispettare la logica e il buon senso, poi la separazione tra Chiesa e Stato, tipica dei Paesi liberal-democratici, infine l’identità e le idee di coloro che non amano la religione a scuola, tantomeno vogliono pagarla sotto forma di tasse. E, fossero pure un’esigua minoranza, poiché non si deve fare violenza alle coscienze, come fa spesso la Chiesa, vanno rispettati.
E invece, ecco il clericalismo più prepotente e ottuso: parlare da politico e statista, "proporre" oggi per imporre domani a tutti gli italiani, compresi gli atei, gli induisti e gli ebrei, (che devono accollarsi le spese, sotto forma di tasse che servono a pagare gli insegnanti) le proprie idee integraliste sulla religione a scuola.
Dice qualcuno: ma come, un cittadino italiano, sia pure in tonaca, non può dire la sua? Ma è illiberale. Come privato, certo. Anzi, ci batteremo fino alla morte perché possa dire la sua. Ma non come rappresentante di un Potere. Non nel suo ruolo in qualche modo pubblico. In tale veste è criticabile, anzi più criticabile. Come i poliziotti, i prefetti, i magistrati, perfino i Presidenti delle Camere e della Repubblica, i preti, i rabbini, gli imam, i vescovi, i cardinali e i papi, proprio perché la Comunità gli riconosce un ruolo elevato e super partes, hanno paradossalmente alcune limitazioni, come se avessero "meno" diritto di parola dei cittadini comuni. Tanto è vero che un ministro, alle volte si deve dimettere per una dichiarazione che se detta da un cittadino qualsiasi lascerebbe tutti indifferenti.
La soluzione, perciò, qual è? Un’ora a testa per tutte le religioni possibili e immaginabili? La scuola deve occuparsi di queste cose? No, è ora di dire finalmente basta alla religione nelle scuole di Stato. E’ una vergogna tipicamente italiana, questa del clericalismo cattolico. Body and Soul, corpo e anima, diceva la canzone, che poi Coleman Hawkins trasformò in un geniale assolo di sassofono. Come i sacerdoti antichi che offrivano agli Dei il perfumun delle vittime sacrificali, ma riservavano a sé l’arrosto, così la Chiesa vuole il corpo (i soldi dell’Otto per mille) e l’anima (le coscienze degli ignari e malleabili studenti). Un raggiro che non esiste in nessun altro Paese, e deve sparire al più presto. Basta con le ore di religione a scuola, oltretutto con insegnanti scelti dai vescovi (figuratevi il livello culturale: ne ho conosciute un paio di ragazzotte "laureate" in improbabili università cattoliche, tipo "S. Maria Non Mi Ricordo più": roba da giornaletto di enigmistica o da bigino Bignami. "Insegnanti", chiamiamoli così, scelti dai vescovi, ma pagati dallo Stato, cioè da tutti noi. "Riteniamo che l'insegnamento religioso non si debba impartire nelle scuole di Stato, che per definizione dovrebbero essere aconfessionali, ma nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle moschee, nei templi, ecc. Naturalmente a spese del richiedente", ha giustamente detto in un comunicato il segretario dell’Aduc, Mastrantoni. Ma, poi, per finire, non basta la storia della filosofia, per insegnare le diverse religioni come fatto culturale, secondo la bella e sensata proposta di Benedetto Croce? (Lo stalliere scemo di D'Holbach)
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CANDIDI COME CANDIDATI. A MENO CHE…
Sicuri che Luxuria sia peggio di Mastella?
Ma, dico, avete visto le liste dei candidati? O meglio, dei cooptati dall’alto, secondo la nuova legge elettorale, come i senatori del primo Regno di Sardegna sotto Carlo Alberto? Per contrasto, ripenso con nostalgia all’amica Ilona Staller. Al confronto con certa gente (di Destra e Sinistra, per carità), che dirittura morale, che sincerità adolescenziale, che santa ingenuità. Una purezza imbarazzante. Senza la minima ironia.
Che poi non si capisce perché li chiamino ancora "candidati", come al tempo degli antichi Romani, quando dovevano essere vestiti d’una tunica di bianchissimo lino. Segno d’una "eguaglianza nei punti di partenza" alla Einaudi, o prova visiva d’una povertà regolamentare che testimoniava l’aver passato indenne ogni tentazione di corruzione, visto che la porpora per tingere una sola tunica, ottenuta schiacciando certi animaletti esotici, costava l’equivalente di milioni di lire? Se poi, sdraiatosi sull’erba ad amoreggiare, sporcava la bianca tunica di verde, il candidato veniva squalificato. Oggi, invece, quelli che hanno la tunica interamente sporca di verde, di rosso o di nero, la passano quasi sempre liscia. E sono perfino eletti.
Ma poi, se c’è un colore che davvero non si addice a certa gente (di ogni polo e tendenza, sia chiaro), questo è proprio il bianco. C’è il rosso, c’è il nero, c’è il giallo, c’è il verde, c’è il rosso cremisi (o cardinale), c’è l’arcobaleno. Manca il bianco. E per forza… A forza di usarle, quelle tuniche si sono sporcate. Quindi candidi, no, anche se candidati da autorità.
E poi, dico, avete visto le facce? Noi elettori dobbiamo osservare bene il prodotto da votare, cioè, volevo dire il candidato da acquistare. Leggete bene le scritte minuscole dell’etichetta. In cabina portatevi la lente d’ingrandimento: visto quante rughe, quante cicatrici, quanti segni di lotte passate? Mi ha insegnato il nonno di Verona che i cavalli prima di comprarli si guardano anche dietro. Girate e rigirate i candidati come volete, tanto è lo stesso: avete visto quanto le facce assomigliano ai sederi? Come quelle dei rossi Caruso e Ferrando. Come quella del nero Romagnoli che dice "Non sono sicuro che siano esistite le camere a gas per gli ebrei", cercando di immolarsi a scopo pubblicitario, come lo storico negazionista Irving. Gli piacerebbe. Ma qui in Italia non lo arrestiamo: siamo più liberali degli austriaci.
Dopodiché, sia resa giustizia a Luxuria. Guai a chi la tocca, Meglio la faccia un po’ così che la feccia che c’è in giro. Da Luxembourg a Luxuria. Sempre eroina è (in senso buono, ministro Pisanu), solo che fa meno danni. L’ha riconosciuto perfino l’ex-fascista Gasparri, a suo modo un signore, in un incontro televisivo. "Altro che Luxuria. Non mi piacciono gli ipocriti, i moralisti a ore, come Fisichella. Uno che allontana un suo collaboratore per una foto a una festa gay, e ora passa nello schieramento di Luxuria per inseguire una poltrona. Preferisco Vladimir che estremizza i suoi difetti a Fisichella che li occulta". Be’, per essere uomo di destra è stato molto più gentleman dell’umorista satirico Aldo Vincent (il "gelataio di Corfù"), che pur essendo di sinistra, con la scusa della satira, ci ha intinto il pane in modo disdicevole. E sì, perché in fondo, ‘sta Luxuria – ha scritto sul web – vorrebbe farsi fare quello che da anni i nostri politici fanno a tutto il popolo italiano. E almeno lui (lei) non ha paura di essere trombato-a alle elezioni. Vero, come dice Gasparri, che lei (lui) non ha mai detto slogan come "10, 100, 1000, 10 mila Nassirya". Perciò la destra non ce l’ha con lui (lei). E lei (lui) ricambia: "Non ho nessun odio per Berlusconi. Del resto anche lui si trucca e anche lui porta i tacchi..." Bravo-a. Senza peli sulla lingua. (be’, forse qualcuno gli è rimasto – commenta l’incontrollabile Vincent). Consigli al candidato-a? Quelli che dò anche a Totti, dopo l’incidente, dice il "gelataio di Corfù": attenzione ai falli da dietro.
Ecco l’antologia, degna d’un bar italico il lunedi mattina. Che dimostra che non sono meglio di Luxuria non solo la Mussolini, che l’ha aggredito-a al grido "Meglio fascista che frocio" (ma da chi avrà preso? Il padre Romano mai avrebbe fatto piazzate del genere, lo giuriamo da jazzisti. Forse dalla zia Sofia Loren?), ma neanche gli umoristi "de sinistra", che pur di far sorridere non badano a mezze misure. Figuratevi, poi, Previti e Mastella. (La callista epilettica della Bindi)
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MERCATO LIBERO IN EUROPA: SIAMO ANCORA INDIETRO
Della Vedova: la Francia contro il liberalismo
"E i francesi s’incazzano", canta l’avvocato piemontese dalla voce rauca come Buscaglione. E così perdono quella razionalità di cui si vantano, spesso a torto. Basta che ci siano i presunti interessi dell’Esagono, unico vero loro Dio, e non capiscono più niente. Perché il nazionalismo, si sa, ottunde la mente, e così i francesi col loro neo-protezionismo e i loro trucchetti statalisti non si rendono conto di fare il male della Nazione, oltre che dell’Europa. Il comportamento del Governo francese, che ha impedito la scalata legittima dell’Enel rappresenta sul piano politico un clamoroso e umiliante attacco al principio del mercato unico. Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, Presidente dei Riformatori Liberali - Radicali per le Libertà. Considerare "straniere" aziende di Paesi fondatori dell’Unione Europea - e quindi del mercato unico - è antistorico e rischia di assestare un colpo mortale al processo di integrazione europea. A questo si aggiunge l’arroganza di un Paese i cui "campioni nazionali" statali fanno shopping all’estero, forti delle rendite monopoliste su un mercato interno ancora chiuso. Il Governo italiano operi innanzitutto perché a Bruxelles e Lussemburgo vi sia una istruttoria non reticente sulla compatibilità giuridica dell’azione del Governo francese ai trattati comunitari. Quanto alla possibilità di provvedimenti "ritorsivi", è bene ricordare che - Francia o non Francia - l’interesse degli utenti e dell’industria italiana resta quella di avere mercati energetici aperti e competitivi. (La serva spendacciona di Adam Smith)
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INCONTRI. LA CONCORRENZA COME LE VITAMINE
La vitamina C fa bene al malato o al farmacista?
Prosegue la serie degli Incontri degli Amici della Fondazione Einaudi dedicati quest’anno alle Autorità di controllo, che ormai cominciano ad essere numerose. Dopo Alessandro Ortis e i problemi dell’energia (lo scorso 21 febbraio), stavolta è di scena Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, per parlare del "fattore C", come concorrenza. I suoi interlocutori saranno Alberto Pera (ex segretario generale dell'Antitrust e ora socio dello Studio Gianni, Origoni, Grippo & Partners) e Gustavo Piga, docente d'economia a Tor Vergata. A moderare è stato chiamato un altro economista, della Sapienza: Domenico da Empoli, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Einaudi.
Che la concorrenza faccia bene all’economia oggi lo dicono tutti. Ma poi gli esperti si dividono su chi ne trarrebbe i maggiori vantaggi. I consumatori, per esempio, oppure i concorrenti più deboli? O magari i nostri "avversari" economici stranieri, dall’Europa alla Cina? Ah, saperlo… Insomma, la concorrenza come le vitamine. Se fa bene, fa più bene ai malati o ai farmacisti? Naturalmente, tutto dipende dalle "proiezioni" che i diversi studiosi, proprio come i metereologi, realizzano. Per conto degli uni o degli altri. L’incontro, dal titolo "La concorrenza fa bene?" si tiene martedì 28 marzo alle ore 18 nella Sagrestia del Borromini di Sant’Agnese in Agone (entrata da via dell’Anima, 30/a). Per informazioni: 06.6871005. (Francesco Redi, medico condotto)
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FATTI PIU’ IN LA’: IL MOTTO DEI NUOVI OTTUSI
"Tutto quello che volete. Ma non nel mio giardino…"
Italia della provincia profonda, a noi! Italia degli egoismi un po’ ottusi, del villaggio che si credeva Parigi, dell’insegnante che pensava di essere uno scienziato. L’energia fa comodo a tutti, ma nessuno vuole che si produca dietro casa. "Una nuova centrale? Certo, sarebbe bello, ci servirebbe. Un convertitore di rifiuti? Ottima idea per pulire le città dai rifiuti, eliminare le discariche e avere metano gratis. Un depuratore delle acque per l’acquedotto? Sarebbe la manna, con la sete che abbiamo al Sud. Un rigassificatore del gas liquido? Perfetto, con la carenza di fonti energetiche. Anche una centrale nucleare, perché no, tanto ormai stanno ai confini d’Italia. Perfino una centrale a carbone della nuova generazione (che non inquina). Tutto, insomma, siamo disposti ad approvare. Siamo moderni, noi, che credete? Purché, certo, non vicino a casa nostra. Avete provato a chiedere nella città vicina?".
Nel teatrino vernacolare della psico-politica all’italiana, è la gag più recitata e ascoltata negli ultimi anni. Ormai anche la casalinga della Campania, il ragioniera della Val di Susa, perfino il prete della Basilicata, dai e dai, hanno orecchiato qualcosina di ambiente. Naturalmente non dai testi scientifici, perché della scienza non si fidano (per loro è un’appendice dell’odiata industria), ma dai comunicati delle contro-inchieste dei Centri sociali e dei Comitati alternativi, residui archeologici della sottocultura antagonista degli anni Settanta. Ai quali si aggiunge sempre qualche capetto che fa da esperto e trascinatore politico.
Ma ad eccezione delle altissime e antiestetiche pale eoliche, che rovinano il bel paesaggio italiano senza dare praticamente energia e ricavandone pochissima a prezzo alto, le altre installazioni spesso producono molti più vantaggi che svantaggi. Alcuni impianti, per esempio, emettono solo nuvole di vapore acqueo. Altri danno un inquinamento leggerissimo, pari a quello "di fondo" già esistente, senza che nessun valligiano protesti. Senza contare che già il traffico automobilistico dei centri storici (non parliamo, poi, del fumo di tabacco) fanno registrare valori di inquinamento migliaia di volte superiori. Basta ricordare che centrali di riutilizzo energetico o depuratori sono nel centro di Vienna e di New York. Ma non possono essere costruiti vicino Acerra (Napoli), nonostante che gli abitanti campani non storcano il naso per il puzzo dell’immondizia accatastata.
Ora sul problema il Circolo di Venezia di Società Aperta, organizza a Mirano un dibattito pubblico, con l’intervento di esperti ed economisti di valore: "Non nel mio giardino. Ambiente e sviluppo possono convivere?" Che cosa si può fare per mettere sullo stesso piano progresso e tutela del territorio, interessi pubblici e privati, impresa e governo, sviluppo e sostenibilità? Intervengono Enrico Cisnetto, Presidente di Società Aperta, Corrado Clini, Direttore Generale Ministero Ambiente, Gianni Fardin, Sindaco del Comune di Mirano, Antonio Gesualdi Giornalista, saggista, Arduino Paniccia, Docente di Economia Internazionale Università Trieste. Modera Maurizio Milan, di Società Aperta, Circolo di Venezia. L’appuntamento è per sabato 18 marzo 2006, ore 15.45, all’Auditorium di Villa Errera (sala consiliare) a Mirano. (Alessandro Volt-Ampere, operaio all'Enel)

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