24 gennaio, 2007

 

Termini: il nome resta. Le Ferrovie non prendono sul serio Veltroni

I viaggiatori che da Natale ad oggi hanno preso un biglietto con destinazione o partenza dalla Stazione Termini di Roma hanno tirato un sospiro di sollievo. Sul documento di viaggio non hanno trovato scritto "Stazione Giovanni Paolo II", come il sindaco Veltroni avrebbe voluto, ma ancora l'antico nome di Termini, tradizionale nella zona fin dal Medioevo. Lo stesso sull'Orario Ufficiale.
I due cippi col nome del defunto papa, installati da Veltroni il 23 dicembre in fretta e furia, approfittando d'uno sciopero dei giornali, valgono solo una "dedica", hanno precisato impietosi alla direzione di Trenitalia.
"Laicisti"? Non lo crediamo. Certo più preoccupati dei costi altissimi che una reale ridenominazione avrebbe comportato in Italia e perfino in Europa, per la ristampa o riprogrammazione di orari, coincidenze, tabelloni, poster, display e computer di agenzie turistiche.
Uno schiaffo di buonsenso delle Ferrovie al delirio di onnipotenza del politico di professione, che ignorando le conseguenze economiche e culturali del suo gesto - già questo dice la profondità dell'uomo - pensava contro ogni regola di rispetto delle memorie e dei luoghi, che il Potere della politica, la ricerca sfrenata, patologica, del consenso demagogico (in questo caso un piacere alla Chiesa, in cambio di chissà quali favori politici ricevuti; ma anche i voti di una presunta opinione pubblica beghina, sottoculturale e clericale), potessero surrogare qualunque deficit, qualsiasi handicap culturale.
Se almeno si fosse informato, prima di fare le sue scelte, se le avesse sostenute con qualche base culturale, Veltroni non avrebbe rischiato di fare la figura del decisionista ignorante.
Gli era riuscito di stravolgere la Galleria Colonna intitolandola al comico del cinema Alberto Sordi, che non c'entrava niente col luogo e che è stato poco più d'un caratterista di genio; ce l'aveva fatta col glorioso Teatro Quirino trasformato in Teatro Gassman ("Chi era?" si chiederanno i posteri tra 50 anni); ed era infine arrivato a coprirsi di ridicolo con una brutta e funerea ("jettatoria", hanno detto i napoletani) statua del partenopeo Totò in pieno centro di Roma, a piazza Cola di Rienzo, ovviamente ignorata da tutti. Ma non gli è riuscita con le Ferrovie.
Siamo contenti, come "Salon Voltaire", che la Stazione Termini abbia resistito all'attacco d'un papa e d'un sindaco uniti, anche se resta l'assurdità culturale dei due cippi dedicatori, oltretutto ad un pontefice appena defunto. Come se una stazione ferroviaria potesse anticipare quel giudizio di santità che neanche la Chiesa ha ancora potuto dare. Per di più, assurdo nell'assurdo, un papa che non ha mai preso il treno, ma solo e sempre l'aereo.
Dividiamo, perciò, il sospiro di sollievo con gli amici laici, razionalisti e liberali che a Roma si sono battuti con coraggio e determinazione (dall'Uaar di Villella e Sgroia, a Vallocchia di No God, a Critica liberale, alla Giordano Bruno).
E registriamo con divertito compiacimento la controproposta dei radicali Sergio Rovasio e Luigi Castaldi, membri della Direzione della Rosa nel Pugno e di Anticlericale.net, che non si "pentono" del loro sano laicismo nel timore di offendere i "radicali cattolici", come ha fatto in un penoso autodafé Bruno Mellano dopo l'aggiunta delle statuine di coppie gay al presepio della Camera.
La vicenda della Stazione Termini 'dedicata' e non 'intitolata' a Giovanni Paolo II, ha mandato su tutte le furie il quotidiano vaticano "L'Osservatore Romano", che se la prende con i "soliti ossessionati laicisti" e con i radicali.
Ma Rovasio e Castaldi hanno controbattuto ricordando l'assurdità di uno "Stato teocratico" che "non può tollerare un ordinamento democratico all'interno dei suoi confini, e vorrebbe la teocrazia applicata anche all'interno dello Stato italiano".
E dov'è il divertimento che dicevamo? Nella provocatoria proposta finale di Rovasio e Castaldi. Per par condicio, dicono, "ora inizierà la battaglia per cambiare il nome alla Stazione San Pietro" [che, malgrado il nome, è in territorio italiano, NdR]. "La nostra proposta - aggiungono - è che diventi Stazione Ernesto Nathan". Non male. Bel colpo, ragazzi. Solo che è poco: una stazione così piccola e insignificante per il più grande sindaco che Roma abbia mai avuto?

Comments:
Certo, non dovrebbe essere provocatorio. Non intitolare, ma "dedicare" con un apposito cippo
in onore della nobile figura di Ernesto Nathan, liberale e illuminato, che come sindaco di Roma operò per rendere concrete "tutte" le libertà, compresa quella religiosa, potrebbe essere un saluto vero, un segno ecumenico e pluralistico, ai tanti pellegrini cattolici che provenienti da tutta Europa scendono dal treno alla stazioncina di S. Pietro. Come dire: un sindaco di Roma, il migliore a detta di tuttii, dà il benvenuto nella città.
 
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